Allarme a Pechino «Non siamo in grado di gestire disordini»
PECHINO — Uno dopo l’altro, un giorno dopo l’altro, hanno detto la stessa cosa davanti a platee diverse e con parole calibrate caso per caso. Che la crisi dell’euro e, comunque, gli affanni globali non mancheranno di fare sentire i loro nefasti effetti sulla Cina, e dunque occorre prepararsi. I leader di Pechino si espongono perché a essere esposta, ormai, è la Cina, che ode scricchiolii che la turbano. La Repubblica Popolare, tuttavia, dev’essere pronta a «imporre il suo discorso al mondo» e a un Occidente quattro volte debole, come sanciva ieri un editoriale.
Il più crudo è stato venerdì Zhou Yongkang, uno dei nove membri del comitato permanente del Politburo. A un consesso di dirigenti provinciali, ha esortato a «pensare a come mettere in piedi un sistema di gestione sociale con caratteristiche cinesi che s’intoni con la nostra economia socialista di mercato».
Il vicepremier Wang Qishan ha parlato invece nel weekend in Manciuria: «La situazione grave e complessa dell’economia globale si tradurrà inevitabilmente in una domanda mondiale insufficiente» a sostenere ancora un export cinese spinto: dunque, «va ristrutturato il commercio».
Il ministro competente proprio per il Commercio, Chen Deming, ha infine facilmente predetto che, «a causa della contrazione dell’economia mondiale, la crescita della Cina potrà rallentare». Cosa che sta già facendo, se il Pil, da più 10,4% nel 2010 è progressivamente sceso al 9,1% del terzo trimestre di quest’anno.
Zhou alludeva a una recente serie di «incidenti di massa» quando avvertiva che a fronte degli «effetti negativi dell’economia di mercato, non abbiamo ancora messo a punto un maturo sistema per la gestione sociale».
Non esistono statistiche affidabili sugli «incidenti di massa» — ovvero scioperi, proteste contro funzionari corrotti, la requisizione di terre, fabbriche chiuse e/o spostate e così via — anche se circolano stime di 100-150 mila episodi l’anno, di entità variabile. È viva la percezione che gli «incidenti» (mille operai di una ditta di Singapore a Shanghai, centinaia a Taicang nel Jiangsu, gli autisti di bus di Hainan e del Guangxi…, come annota il China Labour Bulletin di Hong Kong) siano un’epidemia.
Anche se le autorità (il sindacato ufficiale o il Partito), quando non cavalcano direttamente le rivendicazioni che riguardino società straniere, appaiono spesso o molto spesso in controllo della situazione.
A sostenere che il contagio sia un prodotto della fragilità di Europa e Stati Uniti, è intervenuto ieri il Global Times, arrembante quotidiano nella sfera del Partito. Ha aggiornato la fascinazione cinese per gli slogan numerici (dalle Quattro Modernizzazioni di Deng Xiaoping alle Tre Rappresentanze di Jiang Zemin, per dire) lanciando le Quattro Incapacità dell’Occidente. Che è, uno, incapace di spirito pratico ed è anzi ideologico nei rapporti col mondo; due, incapace di scegliersi leader competenti; tre, incapace di avere una buona politica e una buona governance (le beghe tra democratici e repubblicani americani sono citate esplicitamente); quattro, incapace di programmare strategicamente.
Morale: l’autorevolezza dell’Occidente è esaurita, tocca alla Cina imporre agenda e principi. Incidenti di massa, turbolenze e ansie varie permettendo.
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