Al Senato arrivano nove licenziamenti e i camerieri occupano il ristorante

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ROMA – Stavano per occupare. Poi in realtà  si sono fermati sul limite delle tovaglie di fiandra. Si sono barricati in una lunga, drammatica assemblea, quindi hanno puntualmente aperto il ristorante alle 19,30 per la solita ventina di senatori avventori. Ormai. Camerieri, cuochi, personale di sala del ristorante di Palazzo Madama sono sul piede di guerra. Un fatto mai accaduto. Come mai era successo che venissero minacciati licenziamenti (9 persone), addirittura un dimezzamento di camerieri cuochi eccetera. Tutti dipendenti della Gemeaz Cusin, la ditta che poco più di un anno fa ha vinto la gara della ristorazione al Senato, segnando la fine di un’epoca.
Prima, i senatori pranzavano e cenavano numerosi. Conveniva. I calamari in gratella per dire, costavano al commensale 5,63 euro, così come il filetto d’orata in crosta. I ravioli al pomodoro addirittura 1,72 euro e per un contorno, tipo verdure grigliate, se la cavavano con 1,54. Macedonia per concludere a un euro e 88 centesimi. Menù d’élite a costo proletario.
Poi, è arrivata la rivolta anti casta, la crisi, la spending review e la scure si è abbattuta anche sul ristorante: l’amministrazione del Senato non si carica più del costo del pasto: il 13% una volta lo pagava il senatore, l’87% le casse di Palazzo Madama, ovvero noi contribuenti. Finita la bella vita, sedersi a tavola nell’accogliente ristorante costa dai 25 ai 45 euro. Tre le tipologie di menù previsti. Quello standard offre spaghetti al pomodoro, o riso, a 6 euro; pollo oppure omelette a 10. Quindi c’è il cosiddetto menù superiore, con cannelloni ricotta e spinaci o riso agli asparagi a 11,50 euro e il filetto di carne o i calamari fritti a 16,50. Per i palati più raffinati il menù pregiato: tagliolini all’astice per 20 euro e 70 centesimi, e se ci si vuole togliere lo sfizio dell’aragosta si pagano 24 euro. Equo? Ma non più conveniente. Tanto che i parlamentari preferiscono mangiare velocemente alla buvette oppure attovagliarsi in una delle osterie di tradizione e di fama in piazza del Pantheon e stradine limitrofe. 
È accaduto che quello che si paga fuori, ora si paga anche a Palazzo Madama e perciò è cambiato tutto. Aficionados sono rimasti i leghisti, forse per quell’idiosincrasia verso Roma ladrona per cui preferiscono restare a pranzo e a cena nel Palazzo. 
Il ristorante del Senato ha una capienza di 160 posti. Se sono occupati una ventina a pasto, è già  festa. La ditta Gemeaz sostiene che «si è verificata una sostanziale diminuzione dell’attività » con una riduzione dei clienti di oltre il 50%, fino al 70%. Oltretutto i tagliolini all’astice non li vuole più nessuno. «È tutto un riso e uno spaghetto», si sfoga il personale. Ieri, l’epilogo: l’annuncio dei primi licenziamenti. Benedetto Adragna, questore del Senato, reduce da un consiglio di presidenza che ha previsto altri consistenti tagli, avverte la Gemeaz: «Se troviamo una soluzione condivisa, bene. Il contratto della ditta scade nel 2013, possiamo pensare di anticipare la nuova gara con reciproca soddisfazione. Ma se pensano di scaricare tutto sui lavoratori, se non osservano il contratto, ricordino che abbiamo un milione di fideiussione».
E nella riunione con il presidente Schifani ieri si è parlato di altri risparmi. Sono state revocate – spiega ancora Adragna – tutte le gare in corso, dalla tipografia al servizio di pulizia, all’energia. La senatrice del Pdl, Simona Vicari fa sapere che il Senato risparmierà  altri 400 mila euro all’anno sull’energia. Il punto dolente è che in tipografia ci saranno 45 esuberi. Anche in questo caso non sono dipendenti del Senato, però è una catena: dopo lo scialo della casta, il tempo delle vacche magre colpisce i lavoratori.


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