Addio al Caro Leader E la Nord Corea ora spaventa l’Asia
PECHINO — Proveranno a elevare la sua fine alla mitologia fiammeggiante che avvolge la sua nascita. Kim Jong-il è morto per i «grandi sforzi fisici e mentali», immolando se stesso per la Repubblica Democratica Popolare di Corea che il padre Kim Il-sung aveva fondato (1948) e della quale continua a essere, 17 anni dopo il decesso, «presidente eterno», come da Costituzione. Ieri l’annuncio. Crisi cardiaca, alle 8.30 di sabato mattina. Più che nato, l’epica nazionale canta un Kim Jong-il messianicamente sceso in terra sul monte Paektu, nel 1942, nel pieno della guerra antigiapponese («lucente astro su un cavallo alato»). La realtà più prosaica lo vorrebbe venuto al mondo nella Siberia sovietica del ’41. Il Caro Leader era comunque il signore assoluto della Corea del Nord, oggetto di un culto tra Stalin, Mao e confucianesimo. L’ironia sta nel fatto che sia morto sul treno, suo prudente mezzo di trasporto, anche nel caso di trasferte in Cina o fino a Mosca.
Ora tocca al terzo Kim, il figlio Jong-un. Meno di trent’anni, scuole in Svizzera, capace di sorpassare fratelli e fratellastri avventati (Jong-nam venne arrestato nel 2001 mentre cercava di visitare la Disneyland giapponese). Colpito da ictus nel 2008, Kim Jong-il aveva avviato una transizione a tappe forzate, carica dopo carica, presentando il Giovane Generale come erede nell’autunno del 2010. I suoi ritratti già affiancavano qua e là padre e nonno. Ora è il Grande Successore, e ieri gli speaker in lacrime di radio e tv raccomandavano al partito, al popolo e all’esercito di stringersi a lui. «Un passaggio troppo veloce. Lui non è pronto», spiega al Corriere Shi Yinhong, dell’Università del Popolo di Pechino, analista molto ascoltato dai leader cinesi. «Però di buono c’è che sia riuscito a promuovere intorno a sé generali giovani. E comunque Kim padre aveva predisposto che sorella e cognato costituissero una sorta di comitato di reggenti che si prendesse cura di lui».
L’investitura di Kim «Secondo» Jong-il era durata due decenni. E se ora la dinastia arriva a un Kim «Terzo» partendo da un Kim «Primo» Il-sung, è proprio perché il lungo apprendistato fece del Caro Leader uno stratega del potere. Aveva studiato in patria, dedicando energie ad arti e propaganda. Appassionato di cinema, al punto da far rapire un regista sudcoreano e la moglie attrice per farli lavorare per sé, sapeva che narrare una gloriosa nazione poteva alimentare una sorta di realtà parallela, nella quale nel 1953 gli Usa erano stati sconfitti, come 8 anni prima i giapponesi. Purghe e gulag facevano il resto (alcune stime parlano di 200 mila detenuti a tutt’oggi). E una serie di operazioni attribuite a Kim Jong-il hanno reso la Corea del Nord bushianamente «canaglia»: attentati terroristici, rapimenti di cittadini giapponesi, un’ostinata fedeltà a dogmi economici trapassati che, col dissolversi dell’Urss e del suo sostegno, sfociò nella Strenua Marcia, ovvero una spaventosa carestia e il collasso del sistema. Centinaia di migliaia di morti negli anni Novanta.
Cina, Stati Uniti, il mondo, tutti scrutano Pyongyang, ciascuno coi suoi desideri ma con un comune timore d’instabilità . A sorpresa, il Giappone ha fatto le sue «condoglianze». «Adesso la politica estera passerà in secondo piano», prevede Shi Yinhong. La Corea del Sud ha messo le truppe in stato d’allerta: il Nord ha pur sempre un esercito monstre, testate atomiche, due test nucleari all’attivo (2006 e 2009). Ancora ieri Pyongyang ha lanciato un missile a corto raggio, esercitazione di routine. L’anno scorso era stata affondata una nave militare sudcoreana e bombardata un’isola. Intanto è l’ora del lutto, fino al funerale del 28 e il memoriale pubblico del 29. Più forte è Kim Jong-un, meno rischi d’instabilità patiranno a breve la Corea e la regione.
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