Abolizione della schiavitù: obiettivo raggiunto?
Ma siamo sicuri? La domanda da porsi è duplice: siamo sicuri che lo stato di diritto sia un concetto universale e, laddove affermato, si faccia effettivamente carico dei diritti dei propri cittadini? E soprattutto, siamo sicuri che sciolte le catene e posate le fruste, non esistano altre forme di schiavitù, forse meno evidenti ma non per questo altrettanto disumane?
A 62 anni esatti (era il 2 dicembre del 1949) dall’approvazione della Convenzione per la soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è doveroso rispondere a questo domande. Le stesse Nazioni Unite (in .pdf) definiscono schiaviste quelle pratiche che includono, la schiavitù per debiti, la servitù della gleba, ogni pratica secondo cui una donna sia data in matrimonio mediante compenso in denaro o natura e ogni pratica secondo cui un minore di diciotto anni sia consegnato dai genitori o da uno di essi o dal tutore, a un terzo, con o senza pagamento, perché ne adoperi la persona o il lavoro.
A distanza di decenni, la definizione andrebbe attualizzata. E questo non perché le forme sopra elencate siano state debellate. Tutt’altro. I matrimoni forzati, il traffico di minori, lo sfruttamento nel lavoro agricolo sono pratiche più che attuali (senza andare troppo lontano, ricordate i fatti di Rosarno?). Ma accanto a queste, nuove forme di schiavitù prendono corpo ad ogni latitudine, con protagonisti donne, uomini e bambini.
Secondo la ong Anti-Slavery International, sono oltre 20 milioni in tutto il mondo le persone costrette alla schiavitù a causa di un debito contratto. Offrono lavoro non pagato per estinguere il debito, il quale, in molti casi, si trasmette anche tra generazioni. L’esclusione dai circuiti classici del credito e, di conseguenza, il ricorso al prestito usuraio, alimentano il fenomeno. Sono a tutti gli effetti schiavi anche i milioni di individui costretti alla prostituzione, attirati fuori dal loro paese con la promessa di un lavoro, privati dei loro documenti e costantemente minacciati. Sono schiavi i ragazzini a cui viene negato il diritto allo studio e al gioco: quasi 50 milioni nella sola America Latina, tra chi lavora in miniera, chi nelle piantagioni di cotone e caffè, chi costretto all’accattonaggio per strada. Un sorte non troppo distante da quella dei loro pari età africani che, armi in pugno, formano l’esercito dei bambini soldato.
Save the Children fa i calcoli: la tratta di persone umane è, dopo il traffico di armi e di stupefacenti, il business illegale più lucrativo del pianeta , con un volume d’affari pari a 32 miliardi di dollari l’anno, con Albania, Romania, Ucraina, Moldavia, Bosnia, Nigeria, Ghana, India, Bangladesh, America Latina, tra i paesi e le aree del mondo più coinvolte.
In occasione dell’edizione 2010 della Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha esortato gli stati membri a non abbassare la guardia e a garantire il massimo impegno nel debellare definitivamente la piaga della schiavitù: “L’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi nel XIX secolo non ha sradicato la pratica mondiale. Questa realtà obbliga la comunità internazionale a vigilare e a intensificare i propri sforzi per estirpare le manifestazioni contemporanee di schiavitù. La schiavitù moderna è un crimine. Le persone che commettono, condonano o facilitano questo crimine devono essere consegnati alla giustizia. Le vittime e i sopravvissuti hanno il diritto di ricorso e di riparazione”.
Un crimine i cui contorni vanno costantemente aggiornati. Come sottolinea infatti lo stesso Ban Ki-moon nel suo messaggio per la Giornata internazionale di quest’anno “la servitù del debito, il lavoro forzato, la tratta di persone e la tratta per il prelievo di organi, lo sfruttamento sessuale, le forme peggiori di lavoro minorile, i matrimoni forzati, la vendita delle mogli, il levirato delle vedove e il reclutamento forzato di bambini per i conflitti armati sono tra le manifestazioni della schiavitù odierna. Sono crimini e gravi violazioni dei diritti umani”.
Ed è proprio la comunità internazionale, la prima incaricata della tutela dei propri cittadini, a dover rimediare a quelle falle di sistema che consentono, nel 2011, lo sfruttamento ed il traffico di esseri umani. Non v’è dubbio che lo sfruttamento, complice anche il rapido incremento della popolazione e la cattiva gestione della globalizzazione, trovi terreno fertile dove esistono vuoti normativi e legislazioni deboli. Il diritto alla cittadinanza o al permesso di soggiorno, per esempio, laddove negato incrementa il fenomeno, poiché una persona senza riconoscimento giuridico è facilmente ricattabile e soggiogabile.
Come tappa fondamentale dello sforzo congiunto internazionale, la formale adozione, nel 2000, del Protocollo di Palermo (in .pdf), entrato in vigore nel 2003, uno dei maggiori strumenti di prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani.
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