by Editore | 16 Dicembre 2011 8:35
Sono operai, risciowallah (guidatori di risciò), camionisti, manovali, braccianti – gente della zona di Diamond Harbour, distretto industriale appena a sud di Calcutta, zona di fabbriche e installazioni portuali e grandi snodi stradali alle porte della metropoli del Bengala occidentale. Il serial killer invece è l’alcool chiamato hooch, che significa liquore fatto in casa – o più precisamente in piccole distillerie senza licenza. È il liquore dei poveri, distillato da scarti di cereali o di canna da zucchero o altro, spesso allungato con additivi vari – roba con cui stordirsi alla fine di una giornata di duro lavoro. Quello venduto tra martedì e mercoledì nello spaccio abusivo di Sangrampour, uno dei tanti sobborghi operai della zona, doveva essere stato allungato con additivi davvero tossici, perché l’effetto è stato fulminante: la sera di mercoledì sono morte 7 persone poco dopo aver bevuto e altre 40 e passa dopo il ricovero nell’ospedale distrettuale. Ancora decine di persone sono ricoverate, l’ospedale locale è sopraffatto, molti sono stesi su pagliericci nei corridoi, altri sono stati trasferiti negli ospedali di Calcutta – molti stanno morendo in queste ore. Gli ufficiali sanitari parlano di collassi cardio-respiratori, sintomo di avvelenamento da alcool metilico.
Il consumo di questo alcool clandestino è piuttosto diffuso in India, tra chi non potrebbe permettersi il whisky o la vodka di produzione indiana – per non parlare di quello importato, a prezzi proibitivi. E che quest’alcool clandestino sia un torcibudella è risaputo. Ma un killer simile fa notizia, e la signora Mamata Banerjee, chief minister (capo del governo statale) del Bengala occidentale, ieri ha ordinato una severissima inchiesta. Anche perché la rabbia nella zona è palpabile, e ieri decine di abitanti hanno attaccato la piccola distilleria da cui sembra sia uscito l’alcool killer, spaccando vetri e impianti. Già ieri Banerjee ha riferito all’Assemblea (il parlamento) dell’accaduto: 7 persone sono state arrestate in base agli accertamenti preliminari, mentre la polizia sta cercando il proprietario del bar abusivo in cui il liquore è stato venduto. L’autopsia sulle vittime dirà con precisione la causa dell’avvelenamento, ha aggiunto la capo del governo, che ha annunciato un risarcimento di 200.000 rupie, poco più di 3.000 euro, per ciascuna delle vedove senza il salario portato dal capofamiglia (o da quel che ne rimaneva dopo la sbronza di hooch).
Se c’è qualcosa di dickensiano in questa descrizione, è perché molto nell’India industriale ricorda le descrizioni della povertà urbana della primissima rivoluzione industriale europea, comprese le ong (allora si chiamavano associazioni caritatevoli) che si battono per bandire l’alcool illegale nei sobborghi operai e salvare i bambini dal precoce ammalarsi in miniera. Del resto è proprio Banerjee che ieri ha parlato del commercio di alcool illegale come di una «malattia sociale» che dura da troppo tempo: il governo del suo stato lancerà un’iniziativa per incentivare i commercianti di hooch a cambiare, magari passare a bancarelle di tè o di frutta, ha detto. In ogni caso ha convocato un vertice di tutti i partiti, maggioranza e opposizione, per «decidere insieme misure urgenti per mettere fine a questa piaga».
Il fatto è che in questo distretto industriale il commercio di alcool illecito si è moltiplicato negli ultimi tempi e pare che nel solo mercato di Sangrampur ci siano 18 di questi bar abusivi (di sicuro rendono molto megllio delle bancarelle di tè). L’incidente di Sangrampur è tanto più imbarazzante perché è la seconda tragedia che colpisce l’area metropolitana di Calcutta in poco tempo: solo dieci giorni fa 91 pazienti sono morti asfissiati nell’incendio di un ospedale di Calcutta ed è risultato che le norme anti incendio erano state ignorate.
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