1998, Fidel-Wojtyla 2012, Raàºl-Ratzinger

by Sergio Segio | 22 Dicembre 2011 8:06

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L’AVANA. In apertura di prima pagina, la settimana scorsa, il Granma riferiva la decisione del papa di vistare Cuba l’anno prossimo, prima di Pasqua, in occasione dei festeggiamenti per il 400° anniversario dell’apparizione dell’immagine della Vergine della Caridad del Cobre, poi divenuta patrona di Cuba. In precedenza, alla fine di novembre, il quotidiano del Partito comunista cubano, sempre in prima pagina, aveva annunciato l’arrivo all’Avana dell’immagine della Vergine, dopo un pellegrinaggio attraverso tutta l’isola che ha visto una grande partecipazione dei cubani e che è proseguito – e proseguirà  fino al 30 dicembre – nei vari quartieri della capitale. Gli articoli del Granma dimostrano con grande evidenza l’interesse e le aspettative del governo guidato da Raàºl Castro per la prossima visita di Benedetto XVI e per il proseguimento del dialogo col vertice della chiesa cattolica cubana. Lo stesso presidente, ricevendo domenica una delegazione del Vaticano ha affermato che Cuba accoglierà  il pontefice «con affetto e rispetto».

Questo quadro politico costituisce la grande differenza tra la missione dell’attuale papa e quella – memorabile e ancora ben presente nella memoria del cubani- di Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998, quando era presidente Fidel Castro. Rispetto a 14 anni fa, sono differenti – e meno carismatiche – le personalità  dei due principali protagonisti che si confronteranno, Raàºl e Ratzinger – ma, soprattutto, è diverso il paese che farà  da sfondo alla visita, ovvero una Cuba dove sono in corso riforme pesanti che hanno lo scopo di cambiare a fondo il socialismo, così come lo aveva disegnato Fidel.
Nel 1998, alla vigilia della visita papale, si ipotizzava che vi sarebbe stato uno scontro fra giganti e che Wojtyla avrebbe potuto dare la spallata finale a uno degli «ultimi bastioni del comunismo». La sorpresa venne dalle mutue aperture e sintonie, rappresentate, tra l’altro dalla messa celebrata nella Piazza della rivoluzione e dalle famose parole di Giovanni Paolo II: «Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba»: un’aperta critica all’embargo Usa, che anche il papa polacco dimostrava di considerare un fallimento.
La prossima visita di Ratzinger consacrerà  proprio la linea ipotizzata dal suo predecessore: contraria alla politica di regime change praticata dalle varie amministrazioni Usa – e resa solo un po’ più blanda da Obama – e favorevole a cambiamenti economici e sociali – anche profondi- ma decisi attraverso il dialogo e anche il confronto tra attori esclusivamente cubani: governo, chiesa e la popolazione. Rifiutando le dimissioni offerte per raggiunti limiti di età  dall’arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega, il papa ha dimostrato di appoggiare in modo deciso la linea del cardinale: quella del dialogo politico col governo socialista che ha portato alla liberazione di prigionieri politici e alla mediazione della chiesa cattolica con la comunità  cubano-americana in Florida oltre che (ufficiosamente) con l’amministrazione Obama.
Certo, alla vigilia della visita la stampa cattolica cubana ha alzato la voce con richieste apertamente politiche. Nell’ultimo numero di Palabra nueva, mensile dell’arcidiocesi dell’Avana, il direttore Orlando Mà¡rquez critica il documento base della prima conferenza nazionale del Pc (prevista a fine del prossimo gennaio) che dovrà  dare un primo bilancio delle riforme. «Il documento – scrive il direttore – manca di una visione del futuro… Sembra più voler mettere toppe con una politica del giorno per giorno e non una risposta alle richieste di una società  cambiata e cambiante che cerca garanzie per un domani che percepisce incerto». Secondo Mà¡rquez, i risultati dipenderanno molto dalla linea che adotterà  Raàºl, al quale chiede apertamente riforme politiche: «Dovrebbe parlare di modernizzazione politica dopo aver parlato di modernizzazione economica».
Ancor più radicale la critica espressa dall’editoriale di Espacio laical, rivista teorica cattolica: l’agenda della conferenza dimostra che il Partito comunista si mantiene «vincolato a dogmi ampiamente falliti e pratica una relazione molto verticale (ossia: decidiamo noi e voi ubbidite, ndr) con la popolazione.
Pur salutando come positivo qualsiasi cambiamento, anche graduale, che sarà  deciso dalla conferenza del Pc, l’editoriale ritiene che «non possiamo concederci il lusso di confondere tale gradualità  con la mancanza di chiarezza e velocità » e dunque di deludere le aspirazioni della popolazione. Infatti, secondo la rivista, la riforma più importante e necessaria sarebbe di dare ai cubani più opportunità  di dirigere la propria vita e di influire realmente nelle decisioni del governo, ovvero di attuare «una rifondazione della cittadinanza». Oltre che rivendicare un socialismo con meno «pratiche staliniste» e dal «volto più umano», la rivista chiede anche nuove e più profonde riforme economiche.
Queste posizioni rappresentano però il contraltare (rivolto soprattutto verso l’esterno) al dialogo che ormai da molti mesi, e con discrezione, il cardinale Ortega conduce con il governo cubano. L’impegno del vertice cattolico di spingere per riforme economiche e sociali – e di auspicare riforme di sistema- è certamente politico. La chiesa cattolica cubana non è un partito di opposizione. Essa, però, svolge la funzione che un partito di opposizione spesso compie in una democrazia occidentale: spinge il governo a render conto delle promesse fatte e presenta idee e proposte che, a giudizio suo o della popolazione, vanno in direzione dell’interesse nazionale. E, secondo alcuni analisti, lo fa con il consenso del presidente Raàºl. Infatti, a differenza dei gruppi di dissidenti, poco conosciuti dalla popolazione e – basta leggere i cablo diffusi da WikiLeaks – giudicati poco credibili per il fatto di ricevere spesso contributi o compensi da organismi Usa, la chiesa cattolica è un’istituzione con forti caratteristiche nazionali cubane, presente su tutto il territorio e con una stretta relazione (pastorale, assistenziale e, seppur in tono minore, culturale) con la popolazione .

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Libertà  di viaggio da oggi per i cubani?

Domani nella seduta prevista dell’Assemblea nazionale del popolo il presidente Raàºl Castro dovrebbe presentare e sottoporrre alla scontata approvazione del parlamento una nuova riforma, dopo quelle numerose e consistenti già  introdotte nell’arco degli ultimi mesi, e una delle più attese dalla popolazione: l’eliminazione, o quanto meno l’alleggerimento, delle norme che regolano (e rendono particolarmente difficoltosa e costosa) l’uscita dal paese dei cubani che intendono andare all’estero e l’entrata a Cuba dei cubani che all’estero sono emigrati (per ragioni economiche ma non solo). Il presidente dovrebbe annunciare l’abolizione della «Carta blanca», quel lasciapassare richiesto ed emesso dal governo ai cubani una volta che hanno ottenuto il (già  difficile) visto d’entrata in un paese straniero. Un timbro che finora può essere rifiutato per i più svariati motivi e che, in ogni caso, costa una bella somma: 150 «cuc», pesos convertibili, equivalenti più o meno a 120-130 euro.

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