by Sergio Segio | 23 Novembre 2011 16:10
Lo ha confermato la televisione di Stato yemenita. Non ci dovrebbero essere sorprese, quindi, anche se con Saleh non si può mai dire. ”La visita di Saleh arriva su richiesta del governo saudita e del segretario generale dell’Onu per porre fine a dieci mesi di disordini dopo che il partito al potere e l’opposizione hanno raggiunto un compromesso politico con la mediazione dell’inviato dell’Onu in Yemen, Jamal bin Omar”, ha detto un funzionario del governo di Sanà a all’agenzia di stampa Xinhua. L’accordo per il trasferimento dei poteri, già accettato dall’opposizione, era stato sdegnosamente rifiutato da Saleh in passato. Le pressioni della casa reale saudita, però, sono diventate troppo forti per il leader yemenita che, in cambio dell’immunità , come sancito dal documento, cederà il potere. Il suo vice, Mansour Hadi, dovrebbe formare un esecutivo e organizzare elezioni presidenziali entro sessanta giorni da oggi.
Come detto, però, mai dare nulla per scontato quando si parla di Saleh. Proprio mentre l’aereo che trasportava il presidente dello Yemen atterrava nella capitale saudita, in piazza tornava la violenza. Un corteo di lealisti si è scontrato con manifestanti dell’opposizione. Nel quartiere al-Hesba e nel quartiere al-Sufyan della capitale, si sono registrati – come riferisce la televisione al-Arabiya – scontri che hanno visto l’intervento dell’esercito ancora fedele a Saleh che ha attaccato i dimostranti dell’opposizione.
Un colpo di coda del regime? Un tentativo di sabotare il passaggio di poteri? Presto per dirlo, ma questa volta sembra davvero arrivata la fine per il potere di Saleh. Con uno schema che ricorda molto il passaggio di consegne di Hosni Mubarak in Egitto, del quale ancora oggi si vedono i limiti.
La sensazione è che l’Arabia Saudita non accetterebbe mai un salto nel buio politico in un Paese troppo strategico per Riad e quindi per tutte le petrolmonarchie del Golfo. Mansour Hadi sembra la figura ideale del gattopardo yemenita, per cambiare tutto perché nulla cambi davvero.
Saleh, dopo dieci mesi di violenze e massacri, era divenuto indifendibile. A Riad, dopo averlo accolto nel periodo più buio di questo periodo, quando Saleh è rimasto ferito in modo grave alla testa dopo un attentato contro il palazzo presidenziale di Sanà a il 3 giugno scorso, hanno deciso di pilotare la crisi. Cosapevoli che non era più possibile per Saleh imporre il suo controllo sul Paese, beffati dalla comunità internazionale che ha insignito del Premio Nobel per la pace Tawakkul Karman, simbolo della protesta contro Saleh, i sauditi hanno deciso di giocare la carta del Gcc per garantire un periodo di allentamento della tensione interna in modo da preparare una successione gradita a Riad.
Lo Yemen, infatti, occupa davvero un ruolo chiave nella regione. Il Paese più povero di quelli travolti dalla cosiddetta primavera araba, rappresenta un terreno di scontro per il grande gioco regionale, quello che oppone l’Arabia Saudita e le monarchie sunnite del Golfo all’Iran sciita. La minoranza sciita yemenita, foraggiata da Teheran, è stata una spina nel fianco per Saleh e per i suoi sostenitori. Inoltre il Paese, per la sua posizione geografica, è un terreno di transito per l’integralismo combattente di matrice somala. Nonché un buon rifugio per personaggi sgraditi a Riad e Washington. L’omicidio mirato dell’imam radicale al-Awlaki, il 30 settembre scorso, è solo l’ultimo capitolo della guerra dei droni che gli Usa conducono in Yemen a caccia di leader integralisti. Al punto che la lotta al fondamentalismo è stata appaltata da Saleh agli Usa.
Il passaggio dei poteri chiude una stagione, ma solo dal punto di vista del potere diretto di Saleh. L’uomo che, nel 1990, ha riunificato il Paese e messo le tribù sotto il suo controllo, ha teminato il suo compito storico. Saleh, infatti, nel 1978, era divenuto presidente dello Yemen del Nord, nato dalla secessione seguita la colpo di Stato dei militari marxisti che avevano proclamato la repubblica dello Yemen del Sud nel 1971. Una riunificazione basata su un equilibrio precario, di divisione dei poteri, che iniziava a non reggere più. Adesso inizia una sorta di protettorato saudita, del quale non è noto l’esito. Anche per le opposizioni, che incassano la dipartita di Saleh, con la speranza di non avere un nuovo Mubarak.
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