by Sergio Segio | 6 Novembre 2011 7:39
NEW YORK – Jerry Yang è il cofondatore di Yahoo!. Jerry Yang siede nel board di Yahoo!. Jerry Yang possiede il 3,6 per cento di Yahoo!. Jerry Yang riveste il titolo di “Chief Yahoo”: ma Jerry Yang rappresenta gli azionisti o i suoi propri interessi? Uno dei più importanti azionisti di riferimento, quel Danie Loeb che attraverso la Third Point possiede il 5,2 per cento, ha più di un sospetto. E con un’azione clamorosa ha chiesto le dimissioni del fondatore. Via dal consiglio: defenestrato dopo 16 anni. Motivo? Conflitto d’interessi. Perché infilando e sfilandosi un cappello dopo l’altro, mister Yang sta trattando personalmente per trovare un compratore: con cui magari dividersi il malloppo.
L’accusa dell’hedge funder è naturalmente smentita negli ambienti del “Chief Yahoo”: però i particolari ricostruiti dal Wall Street Journal spingono a pensar male. Insieme alle banche già presenti e al cofondatore David Filo, il buon Yang formerebbe un bel pacchetto forte del 10 per cento del capitale: al quale si andrebbe ad aggiungere un compratore che entra con un altro 20. In vendita verrebbe messa una quota di minoranza: e quindi l’affare non necessiterebbe dell’approvazione degli azionisti. Attraverso la cosiddetta “leveraged capitalization”, il nuovo gruppo di potere ricomprerebbe poi la sua quota: incrementando così il controllo sull’azienda.
Sembra un piano perfetto. Anche troppo. Nelle ultime ore i potenziali acquirenti si sarebbero allontanati proprio subodorando il ruolo di Yang. La richiesta di dimissioni adesso scopre le carte. Se è interessato al controllo della compagnia, accusa l’hedge funder, allora deve lasciare immediatamente il board: non può rivestire i panni del venditore e del compratore.
La battaglia apre un nuovo capitolo nella guerra infinita di Yahoo!. Appena due mesi fa era stato dato il benservito a Carol Bartz. La manager era stata ingaggiata due anni prima per sostituire proprio Yang nel ruolo di Ceo al termine di uno degli anni più burrascosi. Ricordate? Dopo un tira e molla da telenovela, il cinese aveva sdegnosamente rifiutato l’offerta di acquisto di Microsoft per 44,6 miliardi di dollari. Motivo? La “sostanziale sottovalutazione”. Sostanziale sottovalutazione? Tre anni dopo Yahoo! vale esattamente la metà . E non a caso Microsoft sembra riprovarci.
Proprio l’ostinazione a restare aggrappato alla creatura partorita nell’ormai lontano 1994 spinge gli azionisti a dubitare, adesso, dei suoi movimenti. E in ultima analisi anche della ragione per cui Yahoo! si sarebbe messa in vendita. I dati dell’ultimo trimestre non sono male: 293 milioni di ricavi netti, le azioni che viaggiano sui 23 dollari (che non sono certo i 118 dello sciagurato boom che portò alla bolla del 2000, ma neppure l’elemosina di 4 dollari toccata dopo l’11 settembre).
La verità è che Yahoo! attraversa una pericolosa crisi di identità . Yahoo! ha battagliato con Google dai motori di ricerca alla posta passando per le news. Ma intanto la sfida si è spostata sulla comunicazione mobile e sulle piattaforme sociali: da Facebook a Twitter passando per Groupon che al debutto di venerdì è schizzata dal nulla a una quotazione di 17 miliardi.
Qui il colosso scopre i suoi piedi d’argilla. Occorrono investimenti pesanti. Occorrono nuovi capitali. Jerry Yang sta tentando l’impossibile moltiplicando i suoi pani e pesci virtuali. Ma chissà se riuscirà a ripetere davvero la magia che la sua creatura porta già nell’espressione di sorpresa che ne diventò il marchio: “Yahoo!”.
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