Welfare, primi sì alla riforma Fornero

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ROMA – Non avrà  vita facile, Elsa Fornero. Almeno a giudicare dalle reazioni di politica e sindacati all’articolo scritto per la rivista Italianieuropei, e pubblicato ieri da Repubblica, sulla riforma delle pensioni che ha in mente. Il ministro del Welfare è destinato a toccare il filo forse più spinoso del governo Monti. E la prima spina arriva dal suo predecessore, Maurizio Sacconi: «Non possono essere ridotte le età  minime obbligatorie di pensione definite dalle recenti riforme perché sono l’unica base di calcolo certa», dice l’ex ministro pdl. E aggiunge: «I bilanci pubblici non si costruiscono su speranze che danno i numeri o su numeri che danno speranze. E questo porta a escludere le cosiddette uscite flessibili. Poi, evidenti ragioni sociali impediscono di modificare l’importo della pensione per chi ha già  consumato in tutto o in larga parte la vita lavorativa e, come tale, non è più in grado di adeguare i propri comportamenti». In generale, il partito di Berlusconi si mostra scettico sulla sostenibilità  finanziaria della proposta Fornero: ha dubbi al riguardo il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, mentre il suo vice – Gaetano Quagliariello – teme che le misure non siano economicamente sostenibili soprattutto nel breve periodo. Ad aprire di più è Maria Stella Gelmini: «La cosa positiva che noto è che queste misure sono in continuità  con quelle del precedente governo», dice l’ex ministro dell’Istruzione, che però aggiunge: «Il nostro non può essere un sì incondizionato, se ne deve discutere».
Proprio questo, «una base di discussione», è la proposta del ministro secondo Stefano Fassina. Lo convince il principio della flessibilità  (secondo Fornero l’età  della pensione potrebbe fissarsi a 63 anni per tutti dal 2012, con incentivi a chi continua oltre i 65 anni). «E’ un principio che noi abbiamo proposto da tempo – dice il responsabile economico del Pd – si deve però entrare molto nei dettagli, che sono complicati. E per noi è fondamentale che le risorse risparmiate siano usate per il welfare dei giovani». Non vogliono parlare Enrico Letta, vicesegretario del partito, e Francesco Boccia, coordinatore per il Pd delle commissioni economiche in Parlamento: aspettano di vedere il pacchetto quando arriverà , non si fidano di un articolo scritto dalla Fornero prima di diventare ministro. Entra invece nel merito delle critiche un altro esponente democratico, Cesare Damiano, già  ministro del Lavoro nel governo Prodi: «Serve un confronto preventivo con i partiti, e un metodo di concertazione con le parti sociali», spiega prima di ogni altra cosa. E continua: «Sul punto delle pensioni di anzianità  pensiamo che soprattutto i lavoratori che hanno già  maturato 41 anni di contributi non possano essere costretti a prolungare la loro permanenza a lavoro, se non in modo volontario e incentivato».
Su questo punto, è d’accordo l’Italia del Valori. Antonio Di Pietro e il suo responsabile di area Maurizio Zipponi apprezzano la serietà  della proposta, ma dicono – anche loro – che chi ha lavorato 40 anni deve poter accedere alla pensione senza alcun’altra condizione. Credono poi che alla proposta manchi qualcosa: l’unificazione degli enti previdenziali e assicurativi, l’obbligo del pareggio per le casse speciali previdenziali, la divisione nel bilancio dello Stato tra assistenza e previdenza. Oltre a una lotta seria contro l’evasione dei contributi trattenuti in busta paga e non versati.
Gianfranco Fini chiede di guardare ai giovani con un “patto generazionale” mentre Adolfo Urso, di Fare Italia (ex finiano passato con l’ex maggioranza): «Si va nella direzione giusta ma la proposta è insufficiente. Occorre osare di più per realizzare un nuovo patto generazionale e avere risparmi certi e consistenti da investire sul futuro dei giovani».
I sindacati, infine. «Spero che la Fornero ne discuta con le parti sociali», dice Raffaele Bonanni. Poi, da Napoli, il leader Cisl aggiunge: «Aspettiamo di andare al tavolo delle trattative per sfidare il ministro e vedere se, oltre al rigore, saprà  mettere nella riforma anche l’equità ». La stessa richiesta arriva da Corso d’Italia. La Cgil ufficialmente non parla, aspetta di vedere le proposte concrete, ma continua a chiedere interventi che vadano nel segno dell’equità  e che non siano finalizzati solo a fare cassa.


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