Unicredit, rosso shock e 5.200 tagli

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MILANO – Unicredit esce con una trimestrale in perdita, svaluta per 10 miliardi gli avviamenti e imposta misure (tra cui 5.200 esuberi in Italia) per ritornare una banca commerciale focalizzata su Italia, Germania Austria, Est Europa. Un po’ fa i conti con la passata grandeur, un po’ cerca di scrollarsi di dosso il grigiore di una fase difficile. Gli investitori, mentre Borsa e indici bancari hanno perso quasi il 2%, hanno scambiato Unicredit a 0,774 euro (-6,18%).
Il rilancio ha tre ambiti. Il primo è l’aumento di capitale, deciso per 7,5 miliardi di euro tutti in contanti, con 13 banche a garantirlo guidate da Mediobanca e Merrill Lynch che risponderanno dell’inoptato e un avvio previsto a gennaio. Il cda lo ha votato unanime ieri mattina. «Abbiamo scelto la parte alta della forchetta perché volevamo spazzare ogni dubbio sull’adeguatezza patrimoniale – ha detto l’ad Federico Ghizzoni – saremo tra le banche più capitalizzate d’Europa, solidi come una roccia». Dopo il terzo aumento in tre anni il patrimonio Core tier 1 salirà  al 10,35% dall’8,74% dov’è sceso a settembre; applicando Basilea 3 è stimato oltre il 9% nel 2012 e oltre il 10% nel 2015.
La seconda mossa fa i conti col decennio di acquisizioni rutilanti che hanno posto le basi di un gruppo paneuropeo, ma anche mandato alle stelle i rischi e impanciato avviamenti per 20 miliardi. Quella posta ora cala di 8,67 miliardi, in larga parte frutto delle acquisizioni di Hvb, Capitalia, banche ucraine e kazake. Con le prospettive reddituali odierne quei valori non sono più sostenibili e le regole impongono lo stralcio (ma Unicredit è pioniera). L’effetto è solo contabile – gli avviamenti sono già  dedotti dal patrimonio – ma notevole, perché manda in rosso la trimestrale per 10,64 miliardi. Tra le svalutazioni c’è anche l’8,8% di Mediobanca, quasi dimezzata con onere di 404 milioni, e altri 131 milioni su bond greci. Al netto degli avviamenti, i conti a settembre restano negativi: in una dinamica di tenuta dei ricavi classici (margine di interesse, commissioni, dividendi), le turbolenze di mercato mandano in rosso il trading (285 milioni) e i profitti da investimenti (612 milioni), mentre salgono del 56% a 1,84 miliardi le rettifiche su crediti, portando a -1,28 miliardi il risultato. L’utile a nove mesi scende così a 66 milioni (-95%), e il gruppo ha già  detto che non distribuirà  dividendo sul 2011, anche se nel piano quinquennale la politica di erogazioni sarà  «mediamente superiore ai nostri grandi rivali».
Il terzo ambito di rilancio è il piano strategico, verso un utile netto di 3,8 miliardi nel 2013 e di 6,5 miliardi nel 2015. Ci si arriva con meno costi (e pensionamento di 5.200 bancari italiani), meno rischi (anche previa separazione di 48 miliardi di attivi a rischio non strategici e in smantellamento), focus sulle aree migliori e recupero di redditività  nostrana. «È l’addio al vecchio modello di banca universale, oggi non c’è abbastanza capitale per far tutto – ha detto Ghizzoni – va scelto il core business, per noi sarà  la banca commerciale: solo servizi a famiglie e imprese». Per il manager piacentino è un piano «concreto, realistico e ambizioso». Per gli analisti alcuni assunti sono ambiziosi, altri esposti al drammatico stato dell’Italia, i tagli di costi sono timidi e manca una killer application. Per questo qualcuno teme nuove pressioni sul titolo.


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