by Sergio Segio | 3 Novembre 2011 15:16
MILANO – Ben pochi invidiano i manager Unicredit, che a giorni decidono se ricapitalizzare tra gli imponderabili dei mercati e dei regolatori. Tuttavia, come dice un insider, «i «compiti a casa sono stati fatti». Piano industriale e terza ricapitalizzazione di Piazza Cordusio sono pronti: si attendono le novità del G20 di Cannes – la banca dovrebbe entrare tra le “sistemiche”, con necessità extra di capitale –, le eventuali altre intemperanze della Borsa, e una sperata buona parola di Bankitalia sui 3 miliardi di bond Cashes, che gli investitori considerano patrimonio primario (ma l’Eba no).
Senza colpi di scena, il cda di lunedì 14 esaminerà un piano prudente, senza svolazzi e con tagli di costi e focus sulla banca retail, e una parallela ricapitalizzazione fino a 7 miliardi di euro, tutta in diritti di opzione – già c’è il nodo Cashes, da risolvere – magari con un nuovo socio straniero che entri a fermo, poi arrotondi con i diritti di opzione. La scelta, cui il team guidato da Federico Ghizzoni sarebbe giunto dopo sudate analisi, ha alla base uno zelo spiegato dall’eccezionale turbolenza finanziaria – ieri l’azione ha ripreso un 7,34% a 0,79 euro, ma tratta ben sotto il valore tangibile di libro – e dalla scadenza del vertice Unicredit ad aprile. Investire dell’aumento il nuovo cda è ritenuto un azzardo, come anche arrischiare il rinnovo del vertice per inedia. Un altro argomento è la generazione prospettica di capitale, messa in sordina dal revival della crisi. I conti giugno-settembre, esaminati il 14, ne daranno prova di questo: il consensus vede l’utile netto a 6 milioni, da 344 di un anno prima.
Ghizzoni e i suoi hanno approfondito ogni variabile soggettiva, per un’altra settimana osserveranno quelle esterne per vedere se lo schema “tiene”. Ma tutto è già pronto, compresa la presentazione a Milano il 15, prima del road show su Londra e Usa. Fino al consorzio di garanzia, imperniato su Mediobanca ma che includerà Merrill Lynch, Deutsche Bank, Goldman Sachs. In lizza anche Ubs, Credit Suisse e altri, perché data la situazione non sarà una passeggiata. Anzi: andrà tranquillizzato al massimo il mercato, e gli arbitraggisti che probabilmente si scaglieranno su diritti e titoli. A questo fine Unicredit e il consorzio studiano due mosse. La prima, una lettera come quella che fecero i soci forti di Intesa Sanpaolo a primavera, per dire subito che un tot di azioni sarà sottoscritto. Le grandi Fondazioni di Piazza Cordusio hanno circa il 13% e ci sono, ma si può arrivare al 22% con Allianz (2%), Aabar (5%), Lia (2,5%) e Banca di Libia (4,6%), anche se c’è incertezza sull’adesione per intero degli azionisti libici, che contano per il 7,1%. Una seconda mossa è la ricerca di un socio di peso, che tra management e advisor sarebbe inseguito tra Russia e Cina (in forma di fondi sovrani) o Stati Uniti (investitori istituzionali). Non è chiaro l’esito dei sondaggi, ma c’è la possibilità di avere un nuovo azionista “alla Bonomi”, che ha raccolto il 2,9% prima dell’aumento Bpm e ora arrotonda coi diritti.
Pronto all’annuncio anche il piano triennale, che dovrebbe prevedere dati e stime per singole divisioni (metodo “bottom up”) e comportare tagli – anche di personale – nell’investment banking e nel risparmio gestito (Pioneer). Malgrado i ritorni non esaltanti e le difficoltà venture (specie in Italia, con la raccolta basata su uno spread di 440 punti base) si punterà sulla banca commerciale, il cui futuro appare più luminoso in Est Europa e Turchia.
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