Un patto segreto tra paesi «virtuosi»
Il New York Times: «Le grandi banche mondiali preparano piani d’emergenza in previsione del possibile crollo della moneta unica» Due notizie estreme nella stessa giornata. Per fortuna la seconda è indirettamente una risposta alla prima, così che gli effetti – come altre volte avvenuto – non si possono sommare.
La prima è arrivata dagli Stati uniti e aveva un «non so che» di terrificante: le 100 più grandi banche del mondo si stanno preparando a uno scenario in cui l’euro crolla. Riportata dal New York Times, non da uno dei tanti siti affetti da catastrofismo congenito, era peraltro la conferma di numerose voci che arrivano anche a noi dal mondo finanziario: «Asia e Usa stanno vendendo tutto quel che hanno denominato in euro». Titoli di stato dei Piigs, certo, ma anche azioni e bond societari.
Nei dettagli: Merrill Lynch, Nomura, Barclays, hanno diramato in settimana un fitta serie di report che prefigurano la necessità di approntare «piani di emergenza». La stessa Barclays ha condotto un sondaggio tra i propri clienti più importanti, da cui emerge la convinzione diffusa che almeno un paese (la Grecia, naturalmente) sarà obbligato ad uscire dalla moneta unica. Negli Usa le autorità hanno invitato le grandi banche basate negli States, a partire da Citigroup, a ridurre l’esposizione verso la zona euro. Fino alla nota «di colore»: il colosso tedesco del turismo Tui ha inviato alle catene alberghiere elleniche la richiesta di rinegoziare i contratti denominandoli in dracme (la moneta nazionale da tempo scomparsa), in modo da ridurre eventuali perdite dovute a un default greco.
L’analisi del Nyt sembrava poggiare su basi abbastanza solide: Standard&Poor’s ha abbassato il rating del Belgio ad «AA» per i problemi di riduzione del debito (in assenza di un governo vero e proprio da un anno e mezzo); i bond di Portogallo e Ungheria sono stati invece declassati a «spazzatura» e, problema ben più rilevante, la «tripla A» francese sta rischiando ogni giorno più seriamente. Ma si evidenziava anche un diverso atteggiamento tra istituti europei ed extraeuropei. I secondi «si preparano» a qualsiasi evenienza, mentre all’interno del continente ci si muove come se la cornisce monetaria non possa assolutamente cambiare. Del resta, spiegava in serata l’economista Giacomo Vaciago, «dall’euro esci comprando dollari, yen, sterline». Movimenti di cui non si vedono grandi riscontri.
Quasi in risposta a questi allarmi un po’ scomposti – che avrebbero potuto avere pesanti conseguenze sui mercati domattina – la tedesca Bild online rivelava l’esistenza di un «piano segreto franco-tedesco» per imporre rapidamente modifiche ai trattati europei, tali da permettere di sanzionare duramente i paesi «cicala». Indiscrezione di fatto confermata poche ore dopo dal portavoce del governo di Berlino.
In pratica, nel vertice europeo del 9 dicembre Merkel e Sarkozy presenteranno proposte comuni difficilmente rifiutabili. La modifica dei trattati, infatti, avverrà tramite accordi bilaterali tra diversi paesi – come del resto è avvenuto quando è stata creata l’area Schengen – che hanno già parametri economici abbastanza simili (loro due più Olanda, Lussemburgo, Austria e Finlandia). Mentre per tutti gli altri la porta resterebbe aperta per «aderire» in tempi successivi e solo accettando condizioni molto dure; controllo comune dei bilanci di ogni paese, perdita di sovranità in caso di sforamento, sanzioni e tagli automatici (peraltro già operativi da dicembre).
Il vantaggio di questa procedura sta tutto nella sua rapidità : niente lunghe discussioni «a 17», ma politica del fatto compiuto con un patto tra i «virtuosi». Bypassata completamente la Commissione, tra l’altro, e quindi rimossi anche i dissensi con Durao Barroso, sostanzialmente privato di poteri effettivi.
Si potrebbe obiettare che questo piano non è poi così innovativo (introduce di fatto un’eurozona di serie A e una più periferica, con molti problemi irrisolti), né a prova di default di paesi comunque importanti. Ma allo stato – dopo due anni passati a imporre alle «cicale» (Grecia e Portogallo in primis) politiche di rigore che ne hanno aggravato il debito distruggendo al tempo stesso la loro capacità produttiva – non sembra ci siano idee migliori per «tranquillizzare i mercati».
Nel frattempo, però, si scopre che i «virtuosi» hanno guadagnato molto dai problemi delle «cicale». Solo la Germania, infatti, ha risparmiato almeno 20 miliardi per gli interessi sui propri titoli di stato grazie alla fuga dei capitali dai bond a rischio verso quelli tedeschi. Anche la piccola Olanda ha fatto altrettanto, evitando di sborsare 7,5 miliardi. Ma è un gioco che non può andare avanti ancora a lungo. La forza economica e finanziaria della Germania (e dei« virtuosi») è stata esaltata dalla moneta comune. Lasciarla crollare, magari per garantire la rielezione a Frau Merkel, non sembra un colpo di genio…
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