Un oleodotto alla Casa Bianca

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Alcuni dei dimostranti portavano una imitazione di oleodotto, lungo tubo nero di carta su cui era scritto «stop la Xl Pipeline». Circa 4.000 persone si sono presentate con i giubbotti arancioni delle emergenze, per simboleggiare il pericolo di sversamento di petrolio. Qualcuno si è travestito da orso polare. Altri avevano scritto su grandi cartelli citazioni dalla campagna presidenziale di Obama nel 2007-2008, tipo: «Dobbiamo essere la generazione che si libera dalla tirannia del petrolio».
Non è la prima volta che gli oppositori di quell’oleodotto vanno davanti alla Casa Bianca. Nel mese di agosto ci sono rimasti per due settimane consecutive, una dimostrazione continuata in cui si sono alternate migliaia di persone, inclusi nomi noti del cinema e della scienza, e finita con oltre 1.200 arresti.
Insomma: la TransCanada Keystone Xl pipeline è diventata il catalizzatore di un ampio movimento ambientalista e sociale. E si capisce. Primo, si tratta di un progetto gigantesco: 1.700 chilometri di condutture per trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose dallo stato di Alberta, in Canada, fino alle raffinerie del Texas, sul golfo del Messico, e farne benzina. Da un punto di vista ambientale, è tutto sbagliato: estrarre quella specie di petrolio dalle sabbie bituminose ha costi alti, è un’operazione estremamente inquinante (la procedura per separare il petrolio dalle sabbie produce una massa impressionante di scarti tossici) e richiede di manomettere grandi territori. Anche a raffinarlo, quel bitume produce più gas di serra del normale petrolio. «E’ il petrolio più sporco della terra», diceva domenica Michael Brune, direttore del Sierra Club, una delle maggiori organizzazioni ambientaliste americane.
Poi c’è il fatto che questa specie di petrolio sarebbe trasportato attraverso 6 stati americani, e il progetto ha suscitato grandi opposizioni lungo tutto il tracciato previsto. La pipeline dovrebbe ad esempio tagliare le alture delle Sandhills, in Nebraska, oltre 500mila ettari di zona umida popolata da un migliaio di specie di mammiferi, pesci, uccelli e piante: un ecosistema delicato, che sarebbe devastato dalla costruzione e poi dai possibili sversamenti di bitume. Minaccerebbe il bacino acquifero Ogdalla, uno dei più grandi bacini idrici al mondo, che fornisce acqua potabile e per l’irrigazione a buona parte delle grandi pianure del Midwest – circa 2 milioni di persone ne dipendono, e infatti a manifestare c’erano anche ampie delegazioni di farmers e ranchers del Nebraska.
Un’opposizione così ampia ha messo una certa pressione politica sul presidente Obama. Tanto più che sono emersi dettagli imbarazzanti: che il capo-lobbista di TransCanada è in relazioni fin troppo strette con i funzionari del Dipartimento di stato. E che questo Dipartimento ha affidato la valutazione di impatto ambientale a uno studio di analisti di Houston soggerito dalla stessa TransCanada: un evidente conflitto di interesse. Così giorni fa Obama in persona ha annunciato che sarà  lui a prendere la decisione finale (il dossier è finora di pertinenza del Dipartimento di stato, che deve giudicare l’opportunità  dal punto di vista degli interessi nazionali, dato che si tratta di un progetto trasfrontaliero). Anzi, si è fatto intervistare da una tv del Nebraska per dire che deciderà  secondo gli interessi dell’America, dell’economia, «ma anche della salute degli americani». E che non si lascerà  condizionare dall’argomento dei posti di lavoro: «La gente del Nebraska non accetterà  certo di prendere qualche migliaio di posti di lavoro se significa far bere ai nostri figli acqua inquinata».


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