Un giorno di ordinaria follia

by Sergio Segio | 8 Novembre 2011 8:37

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Governo in panne sull’emendamento«europeo». L’Ue invia gli ispettori. Berlusconi chiuso ad Arcore coi figli Oggi va alla conta Anche Oltremanica gettano la spugna. Gli allibratori inglesi sospendono le puntate sul governo Berlusconi: «La politica italiana è troppo complicata per reggere scommesse», spiega all’Ansa una società  specializzata sulle vicende europee.
Per tutto il giorno Silvio Berlusconi è rimasto chiuso nella sua villa di Arcore, dove ha pranzato con i figli accompagnati da Fedele Confalonieri. In mezzo alla discussione sulle aziende di famiglia gli incontri con diversi ministri e dirigenti del Pdl. Ad agitare molto le acque della maggioranza i boatos di due giornalisti vicinissimi al centrodestra come Franco Bechis (Libero) e Giuliano Ferrara (Foglio), sicuri su Internet e twitter che le dimissioni del premier erano questione di ore o di minuti. Apriti cielo, l’euforia delle borse (vedi pezzo a fianco) è stata immediata, come il crollo dei famosi «spread» con i bund tedeschi. Se il Cavaliere voleva avere un segnale dei mercati l’ha avuto forte e chiaro. Del suo addio basta la parola.
Eppure non sarà  così semplice. Anzi. Berlusconi definisce «voci destituite di ogni fondamento» le illazioni che circolano sulle sue dimissioni. Di lasciare non ha alcuna voglia: «Voglio vedere in faccia i traditori che mi voteranno contro», dice a Libero. Nella testa del Cavaliere la rotta è chiara: oggi pomeriggio alla camera (ore 15.30) il rendiconto generale passerà  nonostante le astensioni delle opposizioni e dei transfughi. Immediatamente dopo, forse già  domani, il governo si presenterà  al senato e chiederà  la fiducia sulle misure annunciate all’Europa nella famosa lettera.
A quel punto, e solo a quel punto, con il voto favorevole di un ramo del parlamento in tasca, il premier valuterà  veramente il da farsi. Se tra quarantott’ore l’opera di «convincimento» dei frondisti non sarà  andata a buon fine, potrà  salire al Quirinale chiedendo – con buoni argomenti, visto la fiducia ottenuta almeno in una camera – le elezioni per l’inizio del 2012.
Decisamente il Cavaliere non è un socialista disposto al passo indietro come Zapatero, Brown e Papandreou. L’ordine è resistere a ogni costo. E a Montecitorio la vigilia è da pallottoliere. L’ex finiano Buonfiglio (rimasto nel centrodestra con Urso e Ronchi) annuncia che sul rendiconto si asterrà  «se diventa come una fiducia a Berlusconi». E lo stesso lascia capire il frondista Antonione: «Serve un allargamento della maggioranza. Abbiamo passato due anni a sostenere che Prodi non poteva governare con due voti di scarto, se ne eravamo convinti allora lo dobbiamo essere ancora di più oggi». Oggi alcuni frondisti – tra cui Stracquadanio e Bertolini – si intratterranno a tu per tu con il Cavaliere nella sua casa romana. Ma la situazione è talmente tesa e confusa che anche tra i «big» vacillano le certezze. Dice l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu: «Se la mozione di sfiducia puntasse alla nascita di un governo di larghe intese e unità  nazionale insieme al Pd io la voterei». Il nome che gira è quello di Gianni Letta. Franco Frattini non si spinge a tanto ma certo invita il suo governo a non chiedere la fiducia: «Spero che il maxiemendamento sia approvato con il concorso dell’opposizione, l’Udc condivide le misure sull’Europa e un’apertura verso Casini è normale».
Vertici e controvertici si susseguono senza soluzione di continuità . A Milano si vedono i ministri ex forzisti di Liberamente (Gelmini, etc.) e i vertici della Lega (Maroni incluso) a via Bellerio. Calderoli, a metà  pomeriggio, va ad Arcore e poi ritorna da Bossi. Come la pensa il Carroccio, del resto, l’ha già  detto Maroni («se i voti non ci sono è inutile accanirsi»). Il rovello principale del senatur adesso è come evitare il «ribaltone» e arrivare al voto anticipato insieme al Pdl. Una strategia molto simile a quella che piace a Berlusconi.
A Roma invece Gianni Letta si chiude nello studio di Fini alla camera. Il sottosegretario berlusconiano non dice nulla sulla sua disponibilità  a guidare un governo di emergenza. Ma certo, in pubblico, afferma che anche se cambiasse l’esecutivo «gli impegni assunti con l’Europa non è che si rinnovano o cambiano, continuano».
Appunto, continuano. E Bruxelles non vede affatto chiaro nella situazione italiana. Il maxiemendamento alla finanziaria (collegato alla lettera europea) venerdì era stato annunciato per oggi ma in senato slitta ancora perché Tremonti se lo tiene stretto. «Ci aspettiamo – spiegava in mattinata il portavoce del commissario Ue agli affari economici – che il ministro Tremonti spieghi all’Eurogruppo i dettagli della lettera di impegni inviata alla Ue dall’Italia». Anche perché quella lettera «ha dei limiti». Tremonti dice che è tutto a posto ma da Bruxelles in ogni caso anticipano l’invio degli ispettori a Roma: le misure indicate nella lettera possono dare risposte positive «solo quando saranno applicate».
Mentre tutto crolla, un uomo è in cima ai pensieri del Cavaliere: «La prima riforma costituzionale necessaria è quella che dia al premier gli stessi poteri dei suoi colleghi europei, a cominciare dalla possibilità  di imporre una linea al ministro dell’Economia, altrimenti non è un premier». Fosse l’ultima cosa che fa, quel Giulio lì non lo vuole proprio più vedere.

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