Un giorno di guerriglia a Wall Street gli indignati si riprendono la piazza

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NEW YORK – «Questo sangue è il nostro sangue» urlano i ragazzi di Zuccotti Park intorno alla pozza che macchia simbolicamente il cuore della protesta. Simbolicamente? Sì, però il sangue scorre davvero sul volto del ragazzo picchiato dalla polizia. E il sangue sgorga davvero dalla mano tagliata del poliziotto assalito con la bottiglia rotta.
Il giorno più lungo della protesta è un grido di battaglia che si solleva nel cuore di New York e rimbalza per le strade di Los Angeles. Cortei, proteste, barricate: è il “Day of Action”, la giornata dell’azione per celebrare i due mesi di protesta. Brucia di manifestanti Portland, bruciano di paura tante città  d’America. «Noi siamo il 99 per cento» gridano i ragazzi radunati dall’alba nella piazza sgomberata due notti fa ma già  riconquistata: evitando di occuparla – come da sentenza del giudice – con tende e coperte. Le parole d’ordine si rincorrono: «Fermeremo la metropolitana!». «Fermeremo il Ponte di Brooklyn!». «Chiudiamo la Borsa!». Mezza Manhattan è inagibile per il traffico impazzito e nel cielo gli elicotteri della polizia volteggiano come se fosse Apocalypse Now. Ma la maggioranza dei protestanti è pacifica. E non si tratta soltanto di giovani. La ragazza trascinata per i capelli dalla polizia a New York è l’ennesima cartolina dall’inferno: ma la foto della nonna di 82 anni col volto sfigurato dal gas urticante a Seattle è più eloquente di tante analisi in tv.
«America 2.0: la nuova rivoluzione è incominciata». «Il popolo unito non sarà  mai sconfitto». «Di chi sono queste strade? Nostre!». Riecheggiano slogan vecchi e nuovi mentre le tv portano il caos nelle case di tutta l’America. Ma c’è caos anche sulle notizie. Tanti gli infiltrati nel movimento. Come quel pazzo che dormiva tra le tende di Occupy Washington e hanno arrestato per gli spari alla Casa Bianca incriminandolo per tentato attentato al presidente. Come quell’altro delinquente che inneggiava a Occupy Wall Street e preparava le molotov per i grandi magazzini Macy’s.
I manifestanti assediano la centrale elettrica e gridano contro il sindaco: «Bloomberg via». Il miliardario resta zitto l’intera giornata per correre all’ospedale Bellevue solo quando arriva la notizia di almeno cinque poliziotti feriti: le violenze sono poche, minimizza, tutti hanno diritto a manifestare ma se la protesta danneggia gli altri abbiamo il dovere di intervenire. Nella sua New York gli obiettivi principali erano tre. Il più ambizioso era destinato al fallimento: occupare Wall Street davvero. A migliaia hanno cercato di sfondare le barricate ma il mitico Toro ha retto all’assalto: grazie alle migliaia di poliziotti in stato di guerra. Poi è scattato l’obiettivo numero due: l’invasione delle fermate del metrò. Infine il terzo assedio: al ponte di Brooklyn. Non è solo “riprendersi” il ponte dove un mese fa furono arrestate settecento persone: bloccarlo vuol dire davvero mandare in tilt tutto il traffico di New York.
Gli arresti sono centinaia. Dice il New York Times che la polizia picchia e ferma anche i reporter. È battaglia vera. E il movimento risponde con quell'”occupazione mobile” che dopo lo sgombero dell’altra notte è diventata la parola d’ordine: ora nel Financial District, ora nel centro di Manhattan, ora sul Ponte di Brooklyn, ora in quella Foley Square che sta proprio davanti al Comune e al Tribunale. Arrivano i sindacati, la folla aumenta. E sabato a Zuccotti Park ci sarà  anche Roberto Saviano. Con un video su uno dei siti del movimento, che lo ha invitato, lo scrittore si rivolge a «tutti voi che volete protestare contro i crimini della Gomorra finanziaria e volete capire i meccanismi che stanno dietro alla crisi: dalla Grecia agli Stati Uniti passando per l’Italia». Occupy senza frontiere: l’indignazione non si spegne in due mesi.


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