Ucciso Cano, il «professore» della guerriglia

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RIO DE JANEIRO — Perde il suo leader una delle guerriglie più longeve e irriducibili del mondo, e la Colombia ancora una volta si chiede se l’anacronismo che vive da decenni stia avviandosi alla fine. Venerdì notte il governo di Juan Manuel Santos ha annunciato trionfalmente la morte di Alfonso Cano, 63 anni, il numero uno delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie di ispirazione marxista. Era alla guida dell’organizzazione da tre anni, dopo la morte per cause naturali del fondatore storico Manuel «Tirofijo» Marulanda. Cano è caduto in combattimento, affrontato sulle montagne del Cauca da polizia ed esercito al termine di un bombardamento aereo. Era accerchiato da tempo e in condizioni fisiche precarie. A un primo esame il suo corpo presentava segni di una malattia non ancora precisata e varie fratture. Con lui sono morti quattro guerriglieri in fuga, tra i quali una infermiera che lo seguiva ovunque, all’inizio confusa con la sua compagna.
Negli ultimi tempi, scampato a vari attacchi aerei e ormai alla disperazione, Cano era lo spettro del fiero intellettuale con barba e occhiali, che per decenni aveva rappresentato il volto intellettuale della guerriglia colombiana. Prima di diventarne il numero uno era stato a lungo l’ideologo e l’incaricato della formazione teorica dei combattenti. «Lasciava ad altri l’incarico di progettare attacchi e dinamitare ponti, preferiva leggere libri», disse di lui Carlos Lazano, giornalista colombiano di sinistra che lo conosceva bene. A Cano vennero affidati due round di negoziazioni di pace, e nel primo, era il 1992, riuscì a lasciare la Colombia dalla clandestinità  per recarsi in Messico a trattare con il governo di Bogotà . Di buona famiglia, prima di abbracciare la lotta armata aveva studiato sociologia e poi insegnato in una delle migliori università  del Paese. Ma la carriera rivoluzionaria di Cano — vero nome Guillermo Leà³n Sà¡enz — è stata anche macchiata di crimini orrendi, come l’esecuzione di 40 guerriglieri colpevoli di indisciplina, azione per cui è stato condannato in contumacia a 40 anni di carcere. Come quasi tutti i leader delle Farc, su di lui pendeva una taglia degli Usa per narcotraffico. Cano, infine, è stato il responsabile delle ultime fasi del sequestro di Ingrid Betancourt e di altri ostaggi politici, concluso con un blitz dell’esercito nel luglio 2008. Secondo la versione ufficiale, i sequestrati vennero liberati con un sotterfugio ai danni del comandante che li aveva in custodia: l’esercito aveva simulato attraverso intercettazioni radio proprio un falso ordine di Cano per consegnare gli ostaggi.
La morte di Cano è stata definita da Santos il più duro colpo inferto alle Farc: non era mai successo che il numero uno cadesse in un’azione militare. La cupola della guerriglia è stata quasi decimata: tra i caduti eccellenti Raul Reyes, il «Mono Jojoy» e Ivan Rios. Le campagne aeree sempre più precise, grazie alla tecnologia fornita dal Pentagono, e lo smacco della liberazione della Betancourt hanno innescato una raffica di diserzioni, tra quadri di medio livello e centinaia di ragazzini e ragazzine costretti a una vita assurda, nella giungla o sulle montagne, ad inseguire un sogno alimentato ormai solo dal fiume del denaro ottenuto dal traffico di cocaina. Le Farc sono lontane dall’apice degli anni Novanta, quando controllavano intere province della Colombia. Ma dispongono, secondo gli esperti, di un potenziale ancora notevole, con 8.000 combattenti che a cadenza quasi giornaliera infliggono perdite materiali o umane. Nei loro accampamenti ci sarebbero alcune decine di ostaggi, tra civili e militari. Dalla scelta per la successione di Cano, gli analisti cercheranno di capire se la prospettiva dell’abbandono delle armi si avvicina o meno. Intanto, ieri le Farc hanno promesso che continueranno a combattere.


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