TRA GLI INDIGNADOS DELUSI FINISCE IL SOGNO DI UN PAESE “COOL”
MADRID. E così la destra torna trionfalmente al potere, in Spagna. I risultati finali delle elezioni politiche sanciscono la pesante sconfitta del Psoe. La destra torna alla guida del Paese dopo aver tanto atteso il Partito popolare qui incarnato dal profilo scialbo e dall’eloquio incerto di Mariano Rajoy, un figlioccio di Fraga, nipote del franchismo.
È QUASI mezzogiorno. Al Valle de Los Caidos, mausoleo del dittatore, sono proibiti per legge i comizi. È una legge di Zapatero, la legge di Memoria storica. Cinquecento falangisti scendono dai pullman e si avviano a celebrare messa: sono trentasei anni oggi dalla morte di Franco. Cantano “Cara al sol”, come in battaglia. Alla stessa ora a Barcellona gli indignati del 15M occupano il sesto edificio del centro in meno di una settimana. Invitano all’astensione in nome della “democrazia reale, adesso”: morte al bipartitismo, morte alla “vecchia politica”. Cantano “El cant dels ocells”, un tempo inno catalanista suonato al violoncello da Pau Casals, oggi – a ritmo rap – hit del movimento.
Nella capitale, a Madrid, nel raggio di un chilometro quadrato votano Josè Luis Rodriguez Zapatero e sua moglie Sonsoles, i due sorridono e si parlano all’orecchio, il seggio è quasi deserto; vota il donchisciottesco Rubalcaba, solo e a testa alta nel cammino verso l’urna e la sconfitta, votano il grigio Mariano Rajoy e la moglie Elvira circondati da telecamere. Il prossimo capo del governo – qualche ora dopo la sua vittoria assumerà i toni di un vero e proprio trionfo – si ferma a lungo e ripete il gesto di deporre la scheda ad uso dei fotografi.
Il re Juan Carlos, protagonista di una pagina cruciale della storia di Spagna, regista occulto del più delicato passaggio del ritorno alla democrazia, è molto malato. Chiuso nella reggia, da tempo si vede di rado. A Bilbao già festeggiano i baschi per la scontata vittoria di Amaiur, il nuovo partito nazionalista: altissima l’affluenza alle urne, in Euskadi. Nel resto del Paese no, alcuni milioni di persone nella “giornata storica” restano a casa: perché accolgono l’indicazione degli indignati, molti. Perché la paura, la disillusione, la crisi generano indifferenza, e dunque meglio sintonizzarsi sulle frequenze radio della partita di oggi essendo i successi sportivi uno dei pochi motivi di orgoglio nazionale. Casillas, Alonso, Nadal. Lo scrive stamani uno speciale di Le Monde dedicato alle elezioni spagnole e rilanciato da tutti i tg: gli spagnoli adorano le soap opera, le loro squadre e i loro eroi sportivi che sconfiggono il mondo. Si distraggono così, il resto sono lacrime. La politica da dimenticare. Il socialismo un’illusione cattiva. La crisi economica una catastrofe come fosse un fatto di natura: un terremoto, uno tsunami.
La campagna elettorale di Rajoy – slogan: “Comincia il cambiamento” – è stata inesistente. Non ha fatto che attendere, il Partito popolare, fermo e muto, senza mai spiegare come avrebbe affrontato la crisi in termini di tagli, riforma delle pensioni, flessibilità del lavoro, cassa integrazione, imposte. E’ bastato tacere. «Dipende», è stata la più frequente risposta di Rajoy a qualsiasi domanda, per l’entusiasmo degli imitatori e dei comici del sabato sera.
Di fronte al rischio fallimento del paese Grecia e Italia si sono affidate ad un esecutivo di “protezione civile”, una task force che si è imposta o si è proposta come capace di gestire l’emergenza. La Spagna ha votato, invece: lo ha fatto perché Zapatero lo ha voluto, si è dimesso, ha annunciato che avrebbe lasciato la politica e ha indetto elezioni. Rubalcaba, socialista della stagione di Felipe Gonzalez, si è offerto come un san Sebastiano allo scopo esclusivo di mostrare che non sarebbe stata una “derrota”, una sconfitta rovinosa e senza onore. Ha fatto molto, in pochi mesi. Di più non poteva. Oggi Fernando Savater scrive che «il peggior aspetto del zapaterismo sono state le sue conseguenze politiche», la colpa peggiore di Bambi non l’idealismo, lo scarso senso di realtà , i valori al posto della realpolitik, i diritti prima dell’economia ma quel che ha prodotto. Il ritorno del passato nella sua ombra più scialba.
In realtà l’unica campagna elettorale che si è vista in Spagna negli ultimi mesi è stata quella delle piazze. L’unica proposta politica innovativa, l’unico elemento di rottura col passato quello degli indignati: giovani e vecchi, datori di lavoro e operai. I microfoni aperti in Puerta del Sol, ancora sabato, raccoglievano e rilanciavano dagli altoparlanti le richieste dei manifestanti: «Voglio che il nuovo presidente difenda la scuola pubblica e le pari opportunità ». «Voglio che dia valore alla laicità e ai diritti delle minoranze». Andateli a sentire sul web, il luogo del contagio. Mentre la Chiesa, qui nella patria dell’Opus Dei, faceva la sua vera campagna di proselitismo politico ferma e sotterranea. Mentre Zapatero ristrutturava la casa per la pensione. Mentre Rubalcaba si giocava la sua ultima partita in nome dell’onore di bandiera e Mariano Rajoy incredulo ereditava quel che Manuel Vasquez Montalban chiamò “el aznarato”, il conservatorismo degli affari e del pensiero debole di Aznar, in piazza gli indignati rimasti senza casa e senza lavoro davano fiato e forma alla demolizione del socialismo di governo. Inascoltati dal Psoe fin oltre il limite, denunciati come antipolitici populisti demagoghi da una classe politica terrorizzata dalla sua propria debolezza, gli indignati avrebbero potuto e dovuto essere la spia delle reali ragioni del malessere. Avrebbero potuto e dovuto chiamare la classe politica al potere ad un’autocritica, a una rapida riduzione dei privilegi, a una riforma della democrazia rappresentativa senza per questo abdicare agli eccessi e alle patologie della democrazia diretta. Non è stato così. Hanno finito per far strada alla destra, come spesso accade anche in più domestici orizzonti, ed era del tutto prevedibile. Le loro legittime ragioni hanno prodotto il risultato più lontano da quel che servirà d’ora in avanti, al paese, ad avere pari opportunità e scuole pubbliche migliori, laicità , giustizia sociale, tutela dei lavoratori. Sarà interessante seguire gli sviluppi degli accampati in tutte le piazze di Spagna, con la maggioranza assoluta della destra al governo. Vedere che parole usciranno da quei microfoni aperti, e se saranno solo parole ad uscire. Interessante e istruttivo anche per noi.
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