Stress test territoriali, non grandi opere

by Sergio Segio | 24 Novembre 2011 8:38

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Gli eventi estremi di cui tutti ora parlano con padronanza di linguaggio – uragani, tifoni e alle nostre latitudini piogge intense e concentrate alternate a periodi di forte siccità  – sono ormai una tragica normalità . Il cambiamento climatico è una verità  scientifica e non un’opinione. Di conseguenza, accusare la natura come il Fato è sbagliato e serve solo a nascondere altre responsabilità , umane e politiche.
Per la sua vicinanza geografica ai luoghi del disastro odierno, quello che è accaduto a Giampilieri rappresenta una perfetta cartina di tornasole. Il governo aveva promesso di intervenire, ma gli unici soldi arrivati sono andati agli alberghi della costa costretti a ospitare gli sfollati. In due anni non si è fatto nulla, e molti sono rientrati clandestinamente nelle case a rischio per necessità  e non per incoscienza.
Oggi si ripresenta la stessa situazione. Tutti si strappano le vesti per poi non fare assolutamente nulla per il risanamento del territorio. Fare i conti con la normalità  degli «eventi estremi» è una necessità  che non trova adeguata rispondenza nelle volontà  politiche dei governi.
Eppure le idee e le competenze per intervenire con successo non mancherebbero. Basterebbe farla finita con le grandi opere per destinare le risorse a un’unica opera di messa in sicurezza del territorio, a carattere nazionale, articolata in tante piccole opere locali sulla base di una scala di priorità , come da tempo propone anche Sbilanciamoci. Ma come si definisce questa scala di priorità ? Attraverso degli stress test territoriali, simulando l’impatto di una pioggia intensa su un determinato territorio, secondo le sue caratteristiche morfologiche, e agendo su di esso di conseguenza.
È grave che tutto ciò non si faccia, ancora più grave in tempi di crisi economica e finanziaria. Abbandonare il territorio vuol dire non solo sopportare la tragedia delle vittime e il costo (materiale e immateriale) dei danni ambientali. Vuol dire anche alimentare l’assistenzialismo statale, ad esempio pagando per anni l’albergo a chi è rimasto senza un tetto. Quello stesso assistenzialismo che a parole si dice di voler combattere.

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