by Sergio Segio | 30 Novembre 2011 7:42
Milano. Una decina di società in Italia riconducibili direttamente a lui e altre quattordici a persone che gli sono vicine e che si intrecciano con gli uomini di Comunione e Liberazione e i vertici della Regione Lombardia. Lui è Pierangelo Daccò.
E le società sono le teste di ponte attraverso le quali l’imprenditore, vicino a Cl, tanto legato al governatore della Lombardia Roberto Formigoni da trascorrere con lui le vacanze in barca, operava in Italia. Ora Daccò si trova in carcere per la bancarotta del San Raffaele, l’ospedale di Don Luigi Verzé. L’ipotesi è che ricevesse denaro in contante dal braccio destro di Don Verzé, il suicida Mario Cal, distraendoli dall’ospedale attraverso fatture gonfiate. Tutto ruota intorno alle sue società , le cui catene sono «così complesse – dicono gli inquirenti – che neppure Daccò senza qualche aiuto è riuscito a ricostruirle».
RAPPORTI CON LA POLITICA
I suoi legami politici spuntano grazie a due suoi compagni d’affari: Antonio Simone, ex assessore al territorio e alla sanità della Lombardia, anche lui vicino a Cl, e l’attuale assessore alla cultura Massimo Buscemi (Pdl), sposato con una delle sue figlie. Secondo la ricostruzione della procura, Simone ha la residenza a Londra allo stesso indirizzo di Daccò, a Maresfield Gardens 33/E, e le sue società sarebbero gestite dallo stesso fiduciario di Daccò, Antonio Zanetti. Il suo nome compare nelle carte degli inquirenti perché Simone avrebbe «costituito un usufrutto (per la durata di 25 anni) in favore della società neozelandese Negua Limited», amministrata dallo stesso Zanetti, su diverse unità immobiliari nella frazione di San Pantaleo, località Schina Manna, e su alcuni terreni nel comune di Nuchis. Un posto incantevole della Costa Smeralda, in provincia di Olbia. Lo stesso dove è sorto uno degli ospedali di Don Verzé.
Buscemi, invece, è risultato controllare fino al dicembre 2010 la maggioranza del gruppo Hsl, una società che opera nei servizi (dal portierato ai centralini telefonici, dal facchinaggio alle pulizie), alla cui guida sedeva la moglie, Erika Daccò. La società viene venduta a un tale Luigi Pezzella e dopo soli sette mesi a luglio del 2011, pochi giorni dopo il suicidio di Cal, viene chiusa.
LE INTERMEDIAZIONI
Il vero centro delle attività di Daccò, prima di entrare in contatto col San Raffaele, è la Juvans, una società schermata a partire dal 1999 da veicoli olandesi (la Karmal e la Juvans International Bv). E intorno a questa si sarebbe consumata un’anteprima della vicenda del San Raffaele, una prova generale del sistema che Daccò avrebbe poi applicato con Cal e Don Verzé. La Juvans lavorava non con i Sigilli, l’ordine di don Verzé, ma con i Fatebenefratelli, devoti a San Giovanni di Dio e anche loro come don Verzé attivi nella sanità . Il loro ordine ospedaliero non è meno potente, perché è presente in cinquanta Paesi sparsi nei cinque continenti e conta su 400 opere apostoliche. «Avendo ricevuto come eredità il carisma dell’ospitalità , seguendo l’esempio del nostro Fondatore ci dedichiamo per missione ai malati e ai bisognosi», recita il loro motto. A guidarli è l’irlandese Fra Donatus Forkan, al secolo William. In Italia, hanno sede a Roma, ma controllano strutture ospedaliere anche in Lombardia, a Cernusco sul Naviglio, a San Colombano, a Brescia, a Como (la Sacra Famiglia) e a Pavia, tutte convenzionate con il servizio sanitario nazionale attraverso la Regione Lombardia.
LA SOCIETà€
«La storia della società – recita un’annotazione della sezione di Polizia giudiziaria della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato – è stata caratterizzata da un rapporto con l’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli. Tale rapporto fu formalmente di appaltatore, nel senso che l’ente ecclesiastico commissionava alla Juvans la realizzazione ex novo, ovvero la ristrutturazione di centri ospedalieri, cliniche e comunque immobili di proprietà ; a sua volta la Juvans, che è sempre stata priva di una propria struttura operativa di costruttore, subappaltava a terzi la concreta realizzazione delle opere». Gli inquirenti parlano della Juvans come di «un mero strumento e supporto tecnico del Fatebenefratelli» per costruire gli ospedali e individuano perfino due contratti d’appalto intermediati nel 2000 direttamente da Daccò con l’Ordine di San Giovanni di Dio per 21,5 miliardi di lire. Gli affari però iniziano ad andare male, proprio come nel caso del San Raffaele, e nel 2003 quando l’Ente cessa di pagare le fatture, la Juvans finisce in fallimento. Pochi anni dopo, il cambio di cavallo. Il nome di Daccò inizia a comparire nelle agende di Cal, per appuntamenti in cui ritirare i contanti procurati al braccio destro di don Verzé dal gruppo Zammarchi, «lo strumento e supporto tecnico» del San Raffaele.
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