San Raffaele, 200 incontri per smistare i fondi neri

by Sergio Segio | 22 Novembre 2011 7:10

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MILANO – Le aveva consegnate a Danilo Donati, responsabile della Sicurezza del San Raffaele, come fossero il suo testamento. Le agende di Mario Cal, l’ex vicepresidente morto suicida a luglio, riaffiorano ora nelle carte della procura con tutta la loro forza dirompente. E gettano uno squarcio di luce sul giro di fondi neri, scovato dagli inquirenti nel crac del San Raffaele, l’ospedale di Don Luigi Verzé, in bancarotta per 1,5 miliardi di euro di debiti.
Lì ci sono le tracce degli incontri tra Cal e Pierangelo Daccò, l’imprenditore vicino a Comunione e Liberazione. Lì il nome di Daccò compare ben 208 volte tra il 2006 e il 2011, per indicare appuntamenti che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbero serviti a Cal per versargli denaro contante. È Stefania Galli, la segretaria dell’ex braccio destro di Don Verzé, a spiegare cosa succedeva in quegli incontri: «Vedendo l’appuntamento con Daccò, (Cal, ndr) mi disse che sicuramente sarebbe venuto per ritirare i soldi. Non usò la parola soldi, ma fece il classico gesto con le dita (strofinando il pollice e l’indice) per indicare inequivocabilmente il denaro».
I pm hanno messo in relazione i prelevamenti in contanti di un fornitore del San Raffaele, il gruppo Zammarchi, con gli appuntamenti tra Daccò e Cal annotati nelle agende, ipotizzando prima una consegna di contanti da Zammarchi a Cal e poi un successivo passaggio da Cal a Daccò. Tra il 28 e il 31 luglio 2006, Zammarchi preleva in contanti da Ubi Banca circa 350mila euro. Il 31 luglio Cal annota un appuntamento con “Daccò – aereo per Olbia”. Lo stesso avviene a novembre: dopo una serie di prelevamenti in contanti degli Zammarchi, Cal si appunta per il 24 novembre 2006, un appuntamento presso “lo studio legale Traini in Via Larga”. Sempre lì si vedono il 5 dicembre. A febbraio 2007, l’incontro è “da Daccò in via Pola” e a marzo si vedono al “Baretto”. A giugno nelle agende di Cal si legge anche il nome di “Simone”, forse il cognome dell’ex assessore alla Sanità , socio di Daccò. E ancora a febbraio 2007, si legge “Busta Zammarchi”, “Zammarchi busta”. Il 17 ottobre dello stesso anno, Cal annota il nome di Daccò e il giorno successivo il 18 ottobre 2007, scrive “Problema di ieri: pagamento fatto Daccò”.
Nel decreto che convalida l’arresto, il gip riassume il verbale in cui Daccò cerca di spiegare quei movimenti di soldi. «Daccò – si legge nella sintesi – ha ammesso di aver ricevuto i pagamenti, ma la vicenda non è stata ricostruita correttamente. Mario Cal gli aveva chiesto nella seconda metà  del 2006 in prestito delle somme in contanti “per far girare la baracca”; di essere stato disposto a versare tali soldi in contanti allo stesso Cal per migliorare i rapporti col San Raffaele e di aver consegnato tali somme in Svizzera; di aver prelevato tali somme dai propri conti tramite spalloni provenienti dal Sud America, dove ha fondi a disposizione e di averle consegnate davanti alla stazione di Lugano in Svizzera; di aver ricevuto indietro tali somme senza interesse alcuno talvolta dopo pochi giorni e talvolta a distanza di un anno». Per il legale di Daccò, inoltre, il suo assistito non dovrebbe essere in carcere, in quanto le misure cautelari non possono essere applicate in «assenza di una sentenza dichiarativa di fallimento» del San Raffaele, attualmente in concordato preventivo. Per il giudice, invece, bastano «una domanda per ottenere la dichiarazione di fallimento», fatta dai pm, e gli indizi dello stato di insolvenza.

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