by Sergio Segio | 4 Novembre 2011 7:18
ATENE — Un contrordine compagni, quello dato ieri dal premier socialista George Papandreou, piuttosto clamoroso, arrivato alla fine di un’altra giornata drammatica ad Atene. Ma che ha rilassato gli spiriti in tutto il mondo. Il referendum che egli stesso aveva proposto lunedì sera, sull’accettazione o meno del secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, non si farà più. Non ce n’è bisogno — ha affermato egli stesso — dal momento che l’opposizione conservatrice, fino a ieri contraria al piano, sembra avere accettato di votarlo. Non che la crisi politica ad Atene sia finita, tutt’altro. Papandreou dovrebbe dimettersi, dopo avere vinto un voto di fiducia che si terrà questa notte: lo avrebbe promesso ai suoi ministri in rivolta, guidati dal responsabile delle Finanze Evangelos Venizelos. Ciò dovrebbe portare alla formazione di un governo di unità nazionale tra i socialisti del Pasok e l’opposizione conservatrice di Nuova Democrazia.
La giornata politica era iniziata alle tre del mattino secondo il miglior copione della tragedia greca. Di ritorno da Cannes, dove avevano incontrato Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e i vertici della Ue (che li avrebbero volentieri fucilati sul posto visto il caos creato dalla proposta di referendum), Papandreou e Venizelos non si erano praticamente parlati. Sceso dall’aereo, però, il ministro delle Finanze rilasciava un comunicato nel quale si diceva contrario al plebiscito (dall’esito più che incerto) voluto dal primo ministro. Al suo fianco si schieravano via via una serie di ministri e deputati del partito di governo. A mezzogiorno, dunque, Papandreou si presentava a una riunione di gabinetto pronto a dimettersi. L’ipotesi della caduta del governo che da quasi due anni lotta per salvare la Grecia dal fallimento, intanto, creava momenti di sconcerto sui mercati, al vertice del G20 di Cannes e un po’ in tutte le capitali del mondo.
Mentre la riunione del governo greco era in corso, Antonis Samaras — il leader di Nuova Democrazia — faceva sapere che il suo partito era disposto a votare a favore del pacchetto europeo di salvataggio, a condizione che Papandreou si dimettesse da premier e si formasse un governo di coalizione per portare il Paese a elezioni nel giro di sei settimane. Samaras era stato messo con le spalle al muro dalle dichiarazioni, la sera prima, di Sarkozy e Merkel che, per la prima volta, avevano parlato della possibilità di uscita della Grecia dall’euro e avevano garantito che la tranche di otto miliardi di aiuti di cui Atene ha immediato bisogno non sarebbe stata erogata con il Paese senza governo. A quel punto, Papandreou rinunciava al referendum, prometteva di aprire negoziati per un governo tra Pasok e Nuova Democrazia quando (e se) il pacchetto della discordia sarà stato approvato, ma non annunciava le dimissioni. Nella notte, poi, si veniva a sapere che il premier avrebbe promesso ai suoi ministri di dimettersi, per il bene del partito, dopo avere ottenuto la fiducia, stanotte: l’uomo forte del Pasok, a questo punto, sembra essere Venizelos, che ha bloccato il referendum e aperto la prospettiva di un governo di unità nazionale (che potrebbe essere guidato dall’ex banchiere centrale Lucas Papademos).
Di fronte allo scampato pericolo del referendum greco, dal vertice di Cannes Merkel e Sarkozy allentavano le mandibole. «L’importante è che ci sia un sì» al piano di salvataggio, diceva la cancelliera. Se le pressioni di Francia e Germania di mercoledì sera hanno permesso ai greci «una presa di coscienza», ciò «sarà salutato da tutto il mondo», aggiungeva Sarkozy.
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