by Sergio Segio | 18 Novembre 2011 8:06
Rospo cucinato, si capisce, con ricette diverse. Incapaci perfino (dopo anni passati a rinfacciarsi di essere come Goebbels e Stalin, Hitler e Kim Il-Sung) di scrivere e firmare insieme il più banale dei documenti (cinque parole: il Senato concede la fiducia) per paura di restare gli uni infettati dal virus altrui, i partiti hanno infatti voluto la fiducia «una e trina». Tre mozioni identiche che dicevano la stessa cosa ma firmate una dalla sinistra, una dalla destra e una dal Terzo polo. E meno male che è rimasta agli atti una quarta, dell’Italia dei valori. Sigillo finale a una giornata segnata, appunto, da quella annotazione criptica che punteggia il resoconto stenografico e ricorda come l’Aula di Palazzo Madama, via via che la destra si sfarinava, si sia frastagliata in quella miriade di gruppi: «Pdl, Pd, Udc-Svp-Aut: Uv-Maie-Vn-Mre-Fli-Psi, Api-Fli, Cn-Io Sud-FS, Idv e Misto». E meno male, almeno sotto questo profilo, che nel mucchio non c’è la Lega Nord. L’unica che voterà contro. Restando schiacciata («molti nemici, molto onore», diranno due o tre senatori all’uscita) sotto una maggioranza mai vista: 281 sì contro solo 25 no.
È dura, dopo anni di conflitto durissimo, tentare in pochi giorni di superare inimicizie, rancori, scorie di odio. E forse è vero che, al di là delle beatificazioni che in questi giorni si sono rovesciate su San Mario da Varese, infastidito per primo dall’eccesso di saliva di troppi laudatores, solo l’ex commissario europeo poteva riuscire nel miracolo di portare a casa la tregua maturata. Lui e dietro di lui, si capisce, Giorgio Napolitano.
Un’impresa. Basti ricordare come fin dal primo momento si erano saldate contro l’iniziativa ostilità di destra e sinistra. Così simili, per certi versi, che la Padania e Liberazione erano arrivate a pubblicare lo stesso giorno, per denunciare l’«invasione» europea, la stessa citazione manzoniana dall’Adelchi: «Il forte si mesce col vinto nemico; / Col novo signore rimane l’antico; / L’un popolo e l’altro sul collo vi sta. / Dividono i servi, dividon gli armenti; / Si posano insieme sui campi cruenti / D’un volgo disperso che nome non ha».
Una scelta resa ancora più curiosa dalla preoccupazione del quotidiano leghista per la sovranità italiana messa a rischio dai «barbari»: «Una volta dalle Alpi scendevano i lanzichenecchi, ora gli inviati del Fondo monetario internazionale e gli eurocrati, che sono certamente più educati ma tutto sommato non meno pericolosi: i primi razziarono Roma, questi ultimi loro epigoni faranno strame della nostra sovranità nazionale». Tesi rilanciata ieri da vari senatori padani, certi che l’arrivo di Monti sia frutto di un vero e proprio complotto. Ma in qualche modo condivisa, stando ai giornali amici e alle esondazioni dichiaratorie, dallo stesso Berlusconi. Tanto che il nuovo premier, rispondendo ai leghisti, è parso parlare a nuora perché suocera intenda: «Vorrei aggiungere solo un punto specifico per quanto riguarda l’atteggiamento del governo o di suoi membri nei confronti di iniziative, complotti dei poteri forti o delle multinazionali, o di superpotenze negli Stati Uniti o in Europa. Permettetemi di rassicurarvi totalmente, ma proprio totalmente». La prova? «Quando a me è capitato di essere commissario europeo a Bruxelles, non sono sicuro che le grandi multinazionali mi abbiano colto come un loro devoto e disciplinato servitore». Immediata la reazione online del Giornale diretto da Sallusti: «”Nessun complotto dei poteri forti” / Monti non avrà mica la coda di paglia?».
Dall’alto, in tribuna, durante il discorso programmatico seguito con qualche sbadiglio da chi si era abituato agli show scoppiettanti del predecessore, c’erano non solo la moglie del nuovo premier Elsa e i figli Giovanni e Federica (lei già inzaccherata da penne intinte nel miele, loro forse prossimi) ma anche Gianni Letta. Il quale, incassato il riconoscimento di servitore dello Stato da parte del Colle, si è messo in solitudine da una parte per non perdere una parola. Ogni tanto, puntandogli addosso gli zoom, qualche fotografo diceva di cogliere un sospiro e una smorfia di amarezza. Questo, in fondo, agli occhi di chi ha dedicato la vita ad arrotondare, smussare, attutire, poteva essere anche il «suo» governo.
Il senatore Giampiero Cantoni, ridacchiando di essere l’unico banchiere rimasto fuori dal governo («ma ho dentro degli eredi») giura con occhio birbante che no, Monti non è stato affatto noioso: «Posso assicurare che stavolta è stato brillante». Corrado Passera si ferma un attimo per spazzare via le polemiche: «Ho lasciato tutto. Non ho più alcun conflitto d’interessi, ora faccio solo il ministro». Due passi più in là Luigi Grillo assicura che no, al di là delle battute sulla «sospensione della democrazia», il Cavaliere non ha nessuna intenzione di staccare la spina ai «bocconiani» tanto presto: «L’ultimo sondaggio lo dava sotto di 11 punti. Finché non cambia l’aria…». Anna Maria Cancellieri, alla buvette, spiega che l’onore di fare il ministro dell’Interno è grande ma i suoi nipotini l’hanno presa così così: «Il più piccolo, quando mi guarda in tivù chiama “Nonna mia, nonna mia!”».
Per ore e ore, Mario Monti segue tutti ma proprio tutti gli interventi. Ascolta. Accenna un inchino con la testa a chi gli regala complimenti. Annota le critiche. Inchiodato lì. Senza allontanarsi mai. A testimoniare con la sua stessa presenza che lui, a differenza di altri premier che tradizionalmente lasciavano sul posto un ministro o un sottosegretario a fare atto di presenza, lo prende sul serio, il Parlamento.
Ma è nel tono complessivo che il nuovo capo di governo ha in qualche modo marcato la svolta più netta. E anche se è rimasto alla larga da ogni polemica sia pure indiretta con il predecessore, ogni dato che forniva («Tra il 2001 e il 2007 il Pil è cresciuto di 6,7 punti percentuali, contro i 12 della media dell’area euro») ogni problema che segnalava era una rasoiata ad anni di ottimismo ostentato, sbandierato, rivendicato dal Cavaliere nella convinzione che «il fattore psicologico è considerato ormai il primo fattore di crisi. L’ottimismo è quindi il compito primo di tutti i governi». Solo tre settimane fa, le scomode verità snocciolate ieri da Monti, che ha incitato ad avere fiducia ma a rimboccarsi le maniche partendo dal riconoscimento delle difficoltà , le avrebbe bollate come «disfattiste». Sembra passato un secolo…
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