Quanto costa la crisi. Un conto che può arrivare fino a quota 100 Miliardi

by Sergio Segio | 2 Novembre 2011 7:52

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Primo: la durata media, tecnicamente la duration del debito, è di 7 anni, più alta e dunque virtuosa di quella degli altri Paesi dell’euro. Secondo: com’è noto l’avanzo primario ha permesso di non aumentare il monte degli interessi che paghiamo ogni anno sugli oltre 1,9 trilioni di debito, già  pari a 70 miliardi.
Nonostante questo la guerra finanziaria ormai in corso in cui, come in un pantano afghano, non si riesce più a mettere a fuoco chi e dove sono i nemici e soprattutto qual è l’obiettivo finale, rischia di portare il conto a 100 miliardi. Una cifra astronomica pari a diverse supermanovre che si mangerebbe tutto l’avanzo e ci costringerebbe all’irreparabile, cioè indebitarci per pagare gli interessi sul debito in una spirale senza uscita (tranne quella di una patrimoniale o qualche altra misura straordinaria lacrime e sangue per abbattere il debito).
Come si legge in una testimonianza dello scorso 13 agosto di fronte alle commissioni tecniche sia del Senato che della Camera dei Deputati dell’allora vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco, ora Governatore, ogni «spostamento verso l’alto della curva dei rendimenti di 100 punti base comporta un incremento della spesa per interessi pari a circa 0,2 punti percentuali del Pil nel primo anno e a 0,4 e 0,5 punti rispettivamente nel secondo e terzo anno». Ecco l’anatomia dei costi dello spread. Il Prodotto interno lordo italiano nel 2011 sarà  pari a 1,57 trilioni (1.570 miliardi di euro). Stiamo parlando dunque di 3,14 miliardi di euro in più il primo anno, 6,28 il secondo e 7,85 il terzo ogni cento punti base. Lo scorso giovedì eravamo a 367 punti base. Ieri a 442: considerando la differenza di 75 punti base fanno 2,35 miliardi «bruciati» in meno di una settimana. E solo sulla scadenza decennale, quella presa come benchmark dai mercati ma che rappresenta solo una parte del montante. Bisognerebbe in effetti considerare tutte le scadenze. Un esercizio tutt’altro che teorico soprattutto di fronte a fenomeni come quello di lunedì, quando la curva dei rendimenti si è ripiegata su se stessa, spingendo i Btp a due anni verso l’alto con un’accelerazione proporzionalmente maggiore rispetto ai 10 anni. In pochi giorni questo Btp ha perso quasi 100 punti base, portandosi dal 4 verso il 5%.
Insomma, per capire bene il calcolo di Visco bisognerebbe andare a valutare non solo l’effetto sul mercato secondario ma anche il debito che verrà  a scadenza prossimamente (nel 2012 si stima che saranno tra i 230 e i 270 i miliardi da rifinanziare) e che potrebbe subire in fase di collocamento la tensione sullo spread. Eppure, questo calcolo non completa l’analisi dell’effetto spread. Sempre nel documento citato, Visco ricorda che il rialzo rende più oneroso il rifinanziamento per le banche soprattutto sul mercato internazionale. Un passaggio che in questo momento è più di una cattiva notizia per il credito italiano che sta subendo la maggiore penalizzazione rispetto agli istituti esteri dei nuovi parametri europei. Da qui in poi si potrebbe facilmente immaginare un effetto a cascata, un domino che cerca di trascinare sempre più in basso il maggiore costo. Come emerso in un’analisi del Corriere già  a fine settembre, il repricing dell’industria del credito aveva portato i tassi sugli impieghi bancari fino al 13,4%, cioè uno spread del 9% rispetto all’EuroIrs a 5 anni, il tasso swap di riferimento per questo tipo di mutui.
Lo stesso processo di crescita dei costi può essere evidenziato anche nel settore dei mutui alle famiglie, dei crediti revolving, del credito al consumo. Delle bollette. Ognuno ha il suo differenziale da tenere sotto controllo, la propria «forchetta» che allargandosi può fare saltare i conti, da quelli delle grandi aziende a quelli del bilancio familiare.
La madre di tutti gli spread, quello tra i Btp e i Bund tedeschi, genera decine di spread per partenogenesi che vanno ad appesantire l’economia, ridurre l’accesso al credito, frenare la crescita. E, come per maledizione, peggiorare di nuovo quel rapporto tra debito e Pil che ora ci zavorra di più rispetto ad altre economie meno importanti della nostra.
Insomma, la spirale andrebbe bloccata subito. Strozzata prima che costi generino costi in un domino che potrebbe causare vittime proprio come una guerra. Le debolezze in campo sono note a tutti: il bilancio pubblico italiano è nudo come il re. Anche se vale la pena di notare che, proprio come era successo a metà  agosto, l’attacco peggiore alla corazzata Btp è avvenuto in un giorno festivo con i mercati aperti. Alcuni osservatori non hanno escluso la possibilità  che ieri siano stati in pochi a muovere molto. Le ipotesi sono tante. Alcune banche si sono alleggerite dei titoli di Stato per fare capire in un rito di ricatti incrociati che non vogliono rimanere con il cerino in mano?
Che sia così o meno oggi ricomincerà  la volatilità  in attesa di capire cosa potrà  partorire il G20 nel lungo weekend dell’euro. Bisognerà  seguire giorno per giorno, ora per ora. Di sicuro, per adesso, c’è solo che «spread» entrerà  nel guinness delle parole più usate nel 2011. Difficilmente gli italiani potranno dimenticarne il significato.

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