by Sergio Segio | 9 Novembre 2011 7:42
ROMA – «Tremonti la pagherà ». Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 2010, i vertici di Finmeccanica si convincono che il ministro dell’Economia e il suo consigliere Marco Milanese, utilizzando la Guardia di Finanza e i principali quotidiani del Paese, siano gli architetti di un’operazione che intende delegittimare l’allora presidente e ad della holding Pierfrancesco Guarguaglini per consentirne l’avvicendamento con Flavio Cattaneo. È in questi giorni che viene gettato il seme velenoso di una resa dei conti che, un anno dopo (nel luglio scorso), con la discovery delle inchieste napoletane, travolgerà appunto Milanese, i vertici della Guardia di Finanza, lo stesso ministro Tremonti e, in ultima analisi, il magistrato che per primo aveva afferrato il bandolo di questa matassa, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo (accusato di un pranzo sconveniente alla fine del 2010 con Milanese e Tremonti).
Le evidenze di questo scontro di potere terminale tra i vertici della più importante holding a partecipazione pubblica e il vertice della politica economica del governo sono documentate nelle decine di migliaia di atti depositati dalla Procura di Roma a chiusura delle indagini sul cosiddetto affare “Digint”. Una vicenda nata quasi per caso, nel febbraio del 2010, quando l’indagine sulla banda “Mokbel” condotta da Capaldo scopre quale incredibile partner della combriccola proprio Finmeccanica, chiamata a partecipare al 49 per cento in una joint-venture che avrebbe consentito alla “banda” di reinvestire e moltiplicare i suoi profitti e di entrare nel salotto buono degli appalti per la sicurezza militare e civile.
I fatti dunque. Nella primavera del 2010 – come documentano centinaia di intercettazioni telefoniche sulle utenze dei vertici di Finmeccanica (Guarguaglini, il potente responsabile delle relazioni esterne Lorenzo Borgogni, il direttore generale Giorgio Zappa, l’allora superconsulente, poi arrestato, Lorenzo Cola, il responsabile della sicurezza aziendale Vittorio Savino) – le indagini della Procura di Roma hanno un effetto devastante. L’ipotesi investigativa che “Digint” sia né più e né meno che un “format” utilizzato dalla holding per la creazione di “fondi neri”, scatena, insieme, la furia e la preoccupazione di Guarguaglini e Borgogni. Ma, soprattutto, eccita la caccia al colpevole. Il 9 marzo di quell’anno, Guarguaglini chiama Tremonti. La storia di “Digint” ha messo il ministro di pessimo umore. «Vorrei la mappa – gli dice – di tutte le società , dirette, indirette, di sopra e di sotto, del gruppo tuo, estere, interne. Perché quell’episodio non è bello. Vorrei sapere quante società di questo tipo ci sono all’estero, con soci strani. Quella società autorizza a pensare che non sia la sola, no?».
Passano neppure due mesi. Nel maggio 2010, l’inchiesta su “Digint” ha ormai la copertura assidua dei principali quotidiani del Paese. E i vertici di Finmeccanica si convincono che «regista dell’operazione» sia il ministro, «che ha già fatto fuori Scajola con la Guardia di Finanza». Borgogni, in una telefonata al presidente di Enav, Luigi Martini, usa toni violenti: «Questi hanno giocato troppo sporco. Sono traditori della patria. Mascalzoni. Bisogna fargliela pagare». Martini lo interrompe: «Sì, ma bisogna capire chi è». «Come chi e? – lo investe Borgogni – È il professor Giulio Tremonti con tutti i suoi scagnozzi: Marco Milanese, Ignazio La Russa, Paolo Berlusconi».
Al telefono con Martini, Borgogni prefigura una campagna di ritorsione che deve aggredire il nemico “Tremonti” e i suoi “scagnozzi”, colpendoli nel privato. Poco importa se con notizie vere, verosimili, o false. «Mi hanno rotto i coglioni», si inalbera. Quindi, con sorprendente anticipo su quanto le indagini della Procura di Napoli e Roma scopriranno, evoca barche (quella di Milanese) e affitti (quello del ministro dell’Economia) pagati da altri. «La gente che va in barca, perché gliela pagano, che ha la casa in affitto e gli pagano l’affitto a Roma… A me mi hanno rotto i coglioni, sta gente qui». Non è finita, l’uomo più vicino a Guarguaglini si abbandona a grevi riferimenti sulle asserite inclinazioni sessuali del ministro. Sulle sue compagnie, che Borgogni dice di «conoscere» e dunque di sapere «dove andare a trovare». Fa di più e di peggio. Annuncia a Martini che «la cosa comincia a dirsi in giro». Che, insomma, quello schizzo di fango che lui sta sputando al telefono, può farsi valanga, se veicolato a dovere. Anche perché, parlando con «Simone» (altro dirigente di Finmeccanica) il 28 maggio, aggiunge: «da lunedì comincia un po’ di controffensiva, di documenti, di cose, di barche a 20 mila euro al mese». Ce n’è anche per Paolo Berlusconi e Ignazio La Russa. Borgogni li accusa di essere due cocainomani. Peggio, di essere i due che lavorano alla sostituzione di Guarguaglini con Cattaneo: «Quello è matto (Paolo Berlusconi ndr) Con La Russa, si sono messi in testa, tra una sniffata e l’altra, che vogliono portare Cattaneo lì».
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