“Assange può essere estradato in Svezia”

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LONDRA – In aula è impassibile come un giocatore di poker: non batte ciglio, quando i giudici respingono il suo ricorso contro l’estradizione in Svezia. E poco dopo, davanti alle gotiche arcate dell’Alta Corte, sembra ancora un dissidente politico o una rock star: elegante in completo blu, con papavero rosso all’occhiello per commemorare i caduti nelle guerre del Regno Unito (qui lo fanno tutti, ma non si è capito perché lo faccia lui, cittadino australiano e ultrapacifista), Julian Assange accoglie il verdetto con la rassegnazione della vittima designata. «Non sono stato incriminato di alcun crimine in nessun paese, eppure vengo perseguitato lo stesso», dice a fan, giornalisti e telecamere. Eppure qualcosa è cambiato rispetto a un anno fa, quando il fondatore di WikiLeaks venne arrestato a Londra su ordine della magistratura svedese, accusato di stupro e molestie sessuali, sbattuto nella tetra prigione di Oscar Wilde, suscitando scalpore in mezzo mondo e vibranti proteste da parte di seguaci e difensori dei diritti civili.
Poi messo agli arresti domiciliari (nella villa di campagna di un suo amico inglese), da allora Assange ha perso due battaglie giudiziarie: il processo di primo grado, in febbraio, e quello di appello, ieri, hanno entrambi convalidato la richiesta di estradizione da parte della Svezia, negando che sia «ingiusta e illegale» come sostenevano i suoi avvocati. Dicono i giudici dell’Alta Corte: «L’accusa di avere avuto rapporti sessuali non consenzienti è chiara. E se la procura svedese giudica necessario l’arresto, è difficile dissentire». Il trattato di estradizione europea, del resto, afferma proprio questo: l’idea che in ciascuno dei paesi della Ue sia possibile avere un equo processo.
Assange ha sempre dichiarato che i rapporti con le sue due accusatrici erano consenzienti e che contro di lui è stata messa in piedi una macchinazione politica, il cui ultimo scopo è estradarlo non in Svezia bensì negli Stati Uniti, dove verrebbe processato per abuso di segreti di stato, «dove verrebbe torturato», commenta ora dall’Australia sua madre, «dove potrei essere condannato a morte», ripete lui spesso. Le accuse di violenze sessuali, secondo lui, sarebbero una vendetta per le centinaia di migliaia di documenti top secret pubblicati da WikiLeaks, un modo di farlo tacere per sempre.
Per chiudergli la bocca, in verità , è bastato il blocco di Visa e Mastercard, che impedendo nuove donazioni a WikiLeaks ha spento temporaneamente (se non definitivamente) il sito delle soffiate. E in ogni caso la giustizia inglese non ha creduto alla teoria del complotto. Adesso i suoi legali hanno due settimane di tempo per fare ricorso alla Corte Suprema di Londra: se non sarà  accolto, Julian potrebbe essere consegnato alla Svezia già  a fine novembre: se il caso verrà  considerato, bisognerà  aspettare fino a primavera per sapere come finisce. Ma l’impressione è che, fra pochi giorni o mesi, Assange finirà  a Stoccolma. Sì, qualcosa è cambiato, in lui e attorno a lui. La “primula rossa” del web appare più debole, forse fa meno paura, certo suscita minore curiosità : non a caso la sua autobiografia non è diventata un best-seller. Come il marziano del celebre racconto di Flaiano, che all’inizio sconvolge ma alla lunga annoia i romani, anche Julian Assange comincia ad uscire dall’eccitante palcoscenico dei media per restare in quello, più grigio e normale, dei tribunali.


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