Prove di disgelo regionale

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Negoziati con i taleban? Non «finché non avremo il loro indirizzo», ha detto ieri il presidente afghano Hamid Karzai. «Non possiamo continuare a parlare con degli attentatori suicidi», ha insistito: finché non sarà  chiaro chi sia il nostro interlocutore «parleremo invece con i nostri fratelli in Pakistan per trovare una soluzione».
Karzai parlava così ieri a Istanbul, durante la conferenza stampa tenuta insieme al presidente pakistano Asif Ali Zardari e a quello turco, Abdullah Gul, al termine di un vertice a tre. Parole polemiche: Karzai le aveva già  pronunciate in settembre, dopo l’uccisione a Kabul di Burhanuddin Rabbani, capo del’Alto consiglio per la pace, cioè l’organismo a cui il presidente afghano ha affidato il processo di «riconciliazione» su cui doveva poggiare un negoziato politico con i Taleban.
Il vertice avvenuto ieri è il primo colloquio diretto tra Kabul e Islamabad dopo quell’attentato. Il governo afghano infatti attribuisce l’omicidio i Taleban e dice che i killer sono arrivati da Quetta, la città  pakistana dove pare che si trovi buona parte della leadership Taleban afghana. Kabul accusa il Pakistan (o meglio, il servizio segreto militare Isi) di sostenerli, e dopo la morte di Rabbani ha sospeso ogni contatto bilaterale con Islamabad.
Ora Afghanistan e Pakistan hanno concordato di investigare congiuntamente sull’omicidio Rabbani. Il disgelo per ora si ferma qui, i toni restano aspri. Il vicemimistro degli esteri di Kabul, Jawed Ludin, ha commentato che «il Pakistan deve andare oltre le parole e mostrare il suo impegno nei fatti». Nessun commento è venuto dai vertici militari: il generale pakistano Ashfaq Pervez Kayani, l’afghano generale Sher Mohammad Karimi e il capo dell’esercito turco, che si sono incontrati in parallelo ai presidenti.
Oggi ai tre capi di stato si uniranno il ministro degli esteri indiano S. M. Khrishna e i rappresentanti dell’Unione europea, la Nato e l’Onu, per una conferenza regionale sulla «transizione» in Afghanistan, la sicurezza e la cooperazione. La conferenza di Istanbul precede quella convocata dalle Nazioni unite a Bonn, in dicembre, dieci anni dopo la conferenza che nel 2001 ha disegnato l’assetto dell’Afghanistan alla caduta del governo dei Taleban: questa volta all’ordine del giorno saranno la «transizione», cioè il trasferimento della responsabilità  della sicurezza dalle truppe internazionali (la forza Isaf-Nato) al governo afghano, prevista entro il 2014 – e il processo di «riconciliazione nazionale» su cui tanto ha puntato il presidente Karzai.
Il fatto è che su quella transizione emergono molti dubbi. Mentre un negoziato politico con i Taleban, mai andato oltre la fase dei contatti preliminari, oggi è bloccato. Facciamo il punto con Antonio Giustozzi, uno dei più autorevoli studiosi dell’Afghanistan: ricercatore alla London School of Economics, ha studiato in particolare i «nuovi» taleban su cui ha scritto libri importanti (tra cui Empires of mud: the neo-taleban insurgency in Afghanistan 2002-2007, Columbia University Press 2009; War and Warlords of Afghanistan, Hurst 2009; The Art of Coercion, Columbia University Press 2011).
Giustozzi era a Roma, giorni fa, ospite del Salone dell’editoria sociale. Spiega: in via di principio, nessuna delle parti in causa si oppone all’idea di un accordo politico per riportare la pace in Afghanistan. «Diverse parti però intendono il negoziato in modo assai diverso», sottolinea. «C’è la proposta pakistana, mai presentata formalmente ma fatta arrivare agli Stati uniti e circolata in via ufficiosa già  nel 2010. Il Pakistan, che considera suo interesse strategico controllare l’assetto futuro dell’Afghanistan, ha pensato di poter convincere o costringere i Taleban ad accettare il proprio patronage. Il presidente Karzai, quando ha percepito che qualcosa si muoveva, ha accelerato la sua proposta di riconciliazione, per non rischiare di essere tagliato fuori dal futuro dialogo». Nell’ultimo anno Karzai ha convocato una «jirga di pace» per legittimare la sua costruzione, poi istituito un Consiglio per la pace (quello presieduto dal defunto Rabbani): passi che dovevano legittimare un negoziato politico con i ribelli.
«Nel governo afghano c’erano però diverse posizioni. Karzai guardava a un negoziato politico con il vertice dei Taleban mentre nella sua stessa amministrazione altri – tra cui lo stesso Rabbani – pensavano piuttosto a cooptare alcuni elementi tra i ribelli, la vecchia strategiza di controllare l’opposizione dividendola».
Quanto ai Taleban, «la dirigenza storica ha interesse a negoziare: ma non tanto con Karzai, e neppure con il Pakistan da cui si vorrebbe affrancare. Vorrebbe un negoziato diretto con gli Stati uniti: stabilire un negoziato diretto con gli americani significa assere legittimati come movimento politico, una forza politica con cui bisogna fare i conti». Per questo si parlava di un ufficio di rappresentanza dei taleban, magari in Qatar o in Germania.
Anche i quadri e leader emersi negli ultimi anni, i «nuovi» taleban si fidano poco del Pakistan. La composizione dei ribelli è cambiata nell’ultimo decennio, spiega lo studioso, il reclutamento si è esteso – non solo il clero e le scuole coraniche, «pescano tra giovani di villaggio semplicemente senza altre prospettive, a cui offrono un fucile, la motocicletta e un po’ di potere personale». Di recente inoltre i Taleban hanno cominciato a reclutare «in altri gruppi sociali, nelle scuole superiori non religiose, così cominciano ad avere quadri con un retroterra più moderno». E tanto più vogliono essere legittimati nell’Afghanistan futuro.
Il piano pakistano non ha «sfondato»: la fiducia degli Stati uniti verso Islamabad era in vertiginoso calo già  ben prima del raid che all’inizio di quest’anno ha portato all’uccisione di Osama bin Laden. Sul piano regionale, né l’Iran né l’India favorirebbero in Afghanistan sotto la tutela pakistana. Ma neppure le altre ipotesi sono andate molto avanti: «L’uccisione di Rabbani per il momento ha sospeso tutto il negoziato», conclude Giustozzi: «E’ un avvertimento a chi cerca di aprire canali che bypassano il Pakistan»


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