Prove di dialogo per la pace

by Sergio Segio | 17 Novembre 2011 7:57

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GERUSALEMME.  Il presidente dell’Anp Abu Mazen e il leader in esilio del movimento islamico Hamas, Khaled Meshaal, si incontreranno al Cairo il 23 novembre. Ad annunciarlo, ieri a Ramallah, è stato lo stesso Abu Mazen che si è detto impegnato ad «attuare tutti gli sforzi per accelerare l’accordo di riconciliazione» tra il suo partito, Fatah, e il movimento islamico Hamas. «Faremo ogni sforzo per velocizzare la risoluzione delle questioni in sospeso, in primo luogo le elezioni presidenziali, politiche e del Consiglio nazionale palestinese, e la formazione di un governo di indipendenti per organizzare il voto e la ricostruzione della Striscia di Gaza», ha spiegato il presidente dell’Anp. Che poi ha sottolineato che «Deve esserci una sola decisione palestinese e una solo voce palestinese per voltare la pagina nera della divisione». È la volta buona? Siamo davvero vicini alla fine della divisione politica e territoriale tra palestinesi?
Fatah e Hamas ufficialmente si sono «riconciliati» lo scorso 4 maggio quando, a sorpresa, firmarono un accordo volto a risolvere la divisione tra Gaza, sotto il controllo del movimento islamico dal giugno 2007, e la Cisgiordania (o meglio, una porzione di essa) controllata da Fatah, anche se il governo in carica a Ramallah formalmente è composto da tecnici ed indipendenti. Quell’accordo però non è mai stato applicato, per divergenze sul nome del premier del futuro governo di unità  nazionale e per le pressioni di Israele e di vari paesi occidentali su Abu Mazen. Ora le due parti sarebbero giunte di nuovo a un passo dal formare un esecutivo «nazionale» e hanno anche trovato un’intesa sulle elezioni presidenziali e legislative nei Territori occupati che dovrebbero tenersi il prossimo maggio.
A sbloccare la paralisi che si registrava da sei mesi è stato, pare, il passo indietro mosso da Abu Mazen che ha accettato di sacrificare il premier attuale dell’Anp Salam Fayyad. A chiedere la testa di Fayyad – gradito ad americani ed europei – è stato Hamas che lo ha accusato più volte in questi ultimi anni di aver «favorito» il blocco israeliano della Striscia di Gaza e di aver avallato in Cisgiordania operazioni di sicurezza contro gli attivisti del movimento islamico, in collaborazione con l’Esercito israeliano. Abu Mazen voleva confermare Fayyad alla guida del futuro governo, per «tranquillizzare» i governi occidentali (sponsor generosi dell’Anp) e gli israeliani, timorosi di una fine della piena «cooperazione di sicurezza» con le forze speciali palestinesi, di cui hanno goduto dal 2007 in poi. Un dirigente di Fatah, che ha chiesto l’anonimato, ci ha spiegato la decisione di Abu Mazen di riconciliarsi definitivamente con Hamas come una reazione alle politiche di colonizzazione di Israele e alla linea dell’Amministrazione Obama che, appiattita sulle posizioni di Netanyahu, sta facendo il possibile per impedire l’adesione piena della Palestina alle Nazioni unite e ad altri importanti organismi internazionali.
Chi sarà  il futuro premier non è chiaro ma il nome ha una importanza secondaria perché il governo rimarrà  in carica solo pochi mesi, fino alle elezioni presidenziali e legislative che si terranno il prossimo maggio. Hamas dopo lo scambio di prigionieri con Israele del mese scorso, si sente di nuovo forte e popolare tra i palestinesi. I suoi leader credono di poter vincere le elezioni che sino a qualche giorno fa respingevano con forza. Sanno che a Fatah manca un leader carismatico, in grado di sostituirsi ad Abu Mazen che afferma di non volersi ricandidare a presidente. L’unico dirigente di Fatah che appare in grado di battere il candidato alla presidenza di Hamas è Marwan Barghouti, il «comandante dell’Intifada», che però è in carcere in Israele dove sconta una condanna a cinque ergastoli. Contro la sua liberazione – nel quadro dello scambio di prigionieri del mese scorso – si è schierato Netanyahu. Il premier israeliano non sembra aver alcuna intenzione di dare una mano a Fatah ed Abu Mazen. Sa che una vittoria di Hamas alle prossime elezioni palestinesi favorirebbe il suo disegno di ritardare il più possibile la creazione d uno stato palestinese accanto a Israele. Avrebbe l’opportunità  di rifiutarsi di avviare contatti con una «organizzazione terroristica».

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