Piazza Tahrir incorona El Baradei

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IL CAIRO – Quando arriva per la Dhuhr, la preghiera di mezzogiorno, un boato corre tra la folla di Piazza Tahrir. Circondato da un cordone di sostenitori Mohammed El Baradei, il premio Nobel per la pace nel 2005, uno dei leader dell’opposizione prima a Mubarak e ora alla giunta militare egiziana, è venuto a pregare nella Piazza simbolo della rivoluzione egiziana, dove in centinaia di migliaia si sono trovati ieri per il sesto giorno per dire basta allo strapotere dei generali e chiedere un nuovo calendario elettorale, sotto il tiro dei militari che sono stati schierati nelle strade attorno. «Vado a Tahrir per esprimere il mio rispetto per i martiri. Il loro sacrificio non sarà  vano e insieme vinceremo», aveva annunciato El Baradei poco prima del suo arrivo.
Attorno al suo nome in questi giorni si è creato un forte consenso come premier giusto per la transizione e in Piazza Tahrir ha avuto l’investitura: i leader di diversi importanti movimenti come il “6 aprile” e la “Coalizione dei giovani della rivoluzione” lo hanno nominato alla guida di un contro-governo, con Abdel Moneim Abul Fotouh, un moderato fuoriuscito dai Fratelli musulmani, come suo vice. Una mossa che si contrappone alla decisione della giunta di chiamare ieri notte Kamal Al-Ganzouri alla guida di un nuovo esecutivo. Una scelta immediatamente respinta da tutti i partiti che partecipano al voto. Inutili le rassicurazioni di Al-Ganzouri, 78 anni, già  primo ministro per qualche anno sotto il “Faraone” Mubarak, sull’impegno alla transizione democratica assunto dalla giunta. «Se pensassi che i militari vogliono mantenere il potere non avrei accettato la proposta», dice il primo ministro incaricato. Una nomina che sembra più un gesto disperato che una vera scelta, tanto che Al-Ganzouri ha annunciato che non potrà  formare il suo governo prima di lunedì, il giorno di inizio delle elezioni legislative. Elezioni che, giusto ieri sera, ha comunicato improvvisamente la giunta militare si svolgeranno su due giorni invece che in uno soltanto, come previsto inizialmente.
Ieri alla giunta militare è arrivato un secondo monito della Casa Bianca che ha sollecitato «un pieno passaggio dei poteri» a un esecutivo civile, da realizzarsi «il più presto possibile e che risponda alle legittime aspirazioni del popolo egiziano».
I preparativi per questo voto poi – che si svolge su base distrettuale con tre tornate elettorali col doppio turno, tenendo praticamente il paese bloccato per 4 mesi – nonostante l’annuncio della giunta non sono cominciati e la crisi in atto non consente certamente un regolare svolgimento delle elezioni, in un Paese in cui non c’è mai stata finora una sola consultazione elettorale seria. A fianco dei militari nel “voto ad ogni costo” sono rimasti solo i Fratelli Musulmani, i grandi favoriti, convinti di poter assumere per la prima volta un ruolo dominante sulla scena politica. Ma i giovani della Fratellanza contestano la dirigenza e la scelta di venire a patti con i militari, i nemici di sempre. In Piazza Tahrir sono migliaia i ragazzi con le barbe islamiche. E ieri anche Ahmed al-Tayyeb il Grande imam di al-Azhar, la più alta autorità  religiosa sunnita, si è schierato apertamente con la Piazza mandando un messaggio attraverso un suo stretto collaboratore che ha annunciato alla folla: «Il grande imam vi appoggia e sta pregando per la vostra vittoria».


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