by Sergio Segio | 30 Novembre 2011 7:18
MILANO – La vicenda Ciappazzi costa carissima a Cesare Geronzi. L’ex numero uno di Capitalia è stato condannato a cinque anni per bancarotta fraudolenta e usura nell’ambito del processo per la vendita delle acque minerali siciliane alla Parmalat del gennaio 2002. L’accusa aveva richiesto una pena di sette anni. Il tribunale di Parma ha condannato pure a 3 anni e sette mesi per bancarotta Matteo Arpe, ex ad dell’allora Banca di Roma per cui i pm avevano proposto una pena di due anni e sette mesi. Gli altri sei imputati hanno ricevuto condanne da tre a quattro anni e tutti sono stati interdetti per dieci anni dall’esercizio di impresa e per cinque anni dai pubblici uffici, pene congelate con il ricorso in appello già preannunciato dalle parti.
Il caso Ciappazzi nasce da una costola del crac Parmalat. I pm emiliani hanno accusato i vertici della banca romana (oggi fusa in Unicredit) di aver costretto Calisto Tanzi ad acquistare dal gruppo Ciarrapico le fonti siciliane – all’epoca in pessime condizioni operative e finanziarie – per 35 milioni come contropartita per un finanziamento da 50 milioni garantito da Banca di Roma a Collecchio nell’ottobre 2002, girato in realtà a Parmatour per salvare le attività turistiche personali dei Tanzi dal fallimento. Ciarrapico da parte sua avrebbe utilizzato i soldi incassati dall’operazione per rientrare dei suoi debiti con l’istituto di credito capitolino. Le difese hanno sempre respinto tutte le accuse.
Per Cesare Geronzi è la seconda tegola giudiziaria in pochi mesi dopo la condanna a quattro anni per il suo ruolo nel crac Cirio di inizio luglio. «Ritengo la decisione del tribunale profondamente ingiusta perché i giudici hanno ribadito che i banchieri rispondono di tutto ciò che accade in imprese grandi e articolate come lo era la Parmalat di Calisto Tanzi e in secondo luogo perchè la sentenza chiude gli occhi sulle risultanze del dibattimento», ha commentato Ennio Amodio, il legale dell’ex banchiere.
«La sentenza del processo Ciappazzi riconosce la mia estraneità alla vicenda e dunque mi assolve – ha detto invece Matteo Arpe (scagionato dal reato di bancarotta fraudolenta per distrazione concernente il pagamento del prezzo di acquisto della Ciappazzi) – . Nello stesso tempo sarei colpevole per un finanziamento a Parmatour al quale mi ero opposto, che è stato deliberato in mia assenza e che non avrei potuto impedire neppure ex post. Sicuramente le sentenze vanno rispettate, ma è anche certo che faremo appello».
Il tribunale di Parma ha anche stabilito per sette degli otto imputati a processo e per Unicredit a risarcire le parti civili che si sono costituite nel procedimento. L’ammontare del risarcimento sarà stabilito in sede civile. I giudici hanno pure condannato il gruppo bancario al pagamento di una provvisionale pari al 4% dell’importo nominale delle azioni od obbligazioni Parmalat possedute dalle parti civili.
A 9 anni dal crac, quella su Ciappazzi è la seconda sentenza arrivata a giudizio nel capoluogo emiliano sul fallimento di Parmalat grazie al gran lavoro della Procura parmigiana e della Guardia di finanza di Bologna. Entro fine anno dovrebbe giungere pure la sentenza di primo grado su Parmatour mentre il 12 dicembre inizia a Bologna il processo d’appello sul filone principale del crac per cui Calisto Tanzi è stato condannato a 18 anni di reclusione.
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