by Sergio Segio | 13 Novembre 2011 8:30
Il voto mancato (quello della Bosnia che dopo averlo promesso invece si è astenuta) ha «salvato» la faccia agli Stati Uniti: Washington non ha dovuto far ricorso al diritto di veto per impedire l’ingresso pieno dello Stato di Palestina nell’Onu. Sorride Israele, che segna un punto a suo favore nell’interminabile guerra volta a negare ai palestinesi il diritto di essere liberi in un loro stato sovrano nei Territori Occupati (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est), appena il 22% del territorio storico della Palestina. Il premier israeliano Netanyahu forse pensa di aver compensato il colpo subìta giorni fa, quando l’Unesco ha accolto a pieno titolo la Palestina tra i suoi membri.
Ma la battaglia perduta per un soffio dai palestinesi non significa che la guerra al Palazzo di Vetro sia stata definitivamente vinta da Israele. Gli sforzi per ottenere lo status di membro a pieno titolo verranno ripetuti «mille volte», ha ribadito ieri il ministro degli esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Riyad Malki. «Per ragioni tattiche» ha spiegato Malki, i palestinesi potrebbero optare per l’ingresso come «Stato non membro». In ogni caso, ha aggiunto, «non ci accontenteremo di essere «semplici osservatori», l’obiettivo rimane «l’ingresso pieno». L’Olp vuole tenere duro, aspettando il cambio della guardia fra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, a gennaio, prima di ritentare. Certo il veto americano è una barriera insuperabile, ma gli Usa dovranno usarlo come risorsa estrema contro le aspirazioni palestinesi, se non vogliono minare quel poco che resta della credibilità di Barack Obama nel mondo arabo.
Ai vertici dell’Olp e dell’Anp c’è chi avanza altre opzioni, oltre a riproporre la richiesta d’adesione a gennaio. Ad esempio il trasferimento immediato del dossier all’Assemblea generale dell’Onu per ottenere subito il riconoscimento come «Stato non membro», status che comunque consente di avviare procedimenti penali internazionali contro le politiche d’occupazione di Israele. O il ricorso all’Alta Corte di giustizia dell’Aja, almeno per un parere.
Quel che appare certo al momento è la conferma della decisione di Abu Mazen di non riprendere le trattative dirette con Netanyahu, di fronte al proseguire della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gerusalemme Est. In agenda torna anche la riconciliazione tra il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza, e il partito Fatah di Abu Mazen. I due secondo alcune fonti si vedranno il 24 novembre al Cairo.
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