Obama vince ai punti con Pechino asse più forte con i Paesi del Pacifico
PECHINO – Per nove giorni Cina e Usa si sono rincorse a distanza nel Pacifico. Il bilancio del primo scontro diplomatico tra le due superpotenze economiche, nella nuova area strategica del mondo, si è chiuso ieri con una vittoria ai punti del presidente americano.
Tra le Hawai e Bali, Barack Obama ha incontrato tutti i leader dell’Oriente in crescita, rilanciando la presenza politica, militare e commerciale di Washington nelle zone dell’Asia che Pechino ritiene debbano entrare nella sua orbita. La Cina è apparsa sulla difensiva, preoccupata, più isolata del previsto e in ritardo sui rapporti con i Paesi vicini.
Solo in extremis il premier Wen Jiabao, dopo l’incontro iniziale del presidente Hu Jintao, è riuscito ieri ad agganciare il padrone della Casa Bianca per un faccia a faccia finale. Un colloquio a sorpresa, chiesto dalla Cina all’ultimo istante, preparato in mezz’ora e durato circa un’ora, necessario a Pechino per salvare l’apparenza di una partnership privilegiata con gli Usa. La Cina ritiene che il Pacifico sudorientale sia un bacino di sua competenza e temeva che la forza egemone dell’area atlantica lasciasse la zona senza fare rapporto ai padroni di casa. Il mini-vertice Wen-Obama, giunto al termine di giorni ad alta tensione diplomatica e di scambi d’accuse mai così espliciti, non si è risolto così nello scambio di cortesie a cui hanno alluso le dichiarazioni ufficiali. Il premier cinese, forte del ruolo di primo banchiere dei debiti Usa, ha manifestato a Obama tutta la sua contrarietà all’offensiva americana nel Pacifico: no alla base dei marines in Austrialia, no all’ingerenza di Washington nelle dispute territoriali e marittime tra la Cina e i suoi vicini dell’Asia, no a un’area di libero scambio transpacifica senza Pechino e no a ogni tentativo Usa di contenere la crescita e l’espansione della se conda potenza del pianeta. Barack Obama ha lasciato Bali senza rilasciare dichiarazioni, il portavoce Tom Donilon si è limitato ad assicurare che l’America «non ha alcuna aspirazione egemonica e non si schiera da nessuna parte», ripetendo il benvenuto «ad una Cina prospera e pacifica». Il presidente Usa però ha in realtà risposto al premier cinese che gli Stati Uniti si sentono liberi di muoversi in Asia, di stringere alleanze con chiunque e di riorientare verso Oriente la loro «nuova politica di sicurezza».
Non una dichiarazione di guerra, ma la reciproca notifica di interessi conflittuali su cui nessuno intente mediare e che ufficializzano l’apertura dello scontro Cina-Usa nel Pacifico. Presa in contropiede, Pechino per ora ha preso atto che le dispute di confine con Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan e Brunei, ma pure quelle più ampie con Giappone, Corea del Sud e India, non potranno essere gestite come «affari cinesi» e che questi Paesi guardano anzi sempre più agli Usa quali alleati nel ridimensionamento della Cina. Wen Jiabao ha anche annunciato che la flessibilità dello yuan aumenterà , accogliendo così la richiesta Usa di un apprezzamento della valuta.
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