Non solo crisi finanziaria: continua il declino delle grandi imprese

by Sergio Segio | 6 Novembre 2011 7:45

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Negli scorsi mesi, in una lunga serie di articoli apparsi su sbilanciamoci.info abbiamo passato in rassegna la situazione e le prospettive di una ventina di grandi gruppi italiani, alle prese da una parte con la crisi in atto, dall’altra con i processi di globalizzazione e le decisioni, o le mancate decisioni, della politica nazionale.
Non si può certo dire che il quadro complessivo, che a suo tempo si poteva trarre dalla rassegna, lasciasse spazio a un grande ottimismo. Ma le vicende più recenti, in parte elencate qui di seguito e che toccano alcune grandi e medio-grandi imprese nazionali, sembrano mostrare un quadro ancora più preoccupante e degradato, sia pure certamente in linea con quanto si poteva immaginare o già  intravedere.
(…) Cominciamo da due imprese che registrano ancora una rilevante presenza pubblica nel capitale, Finmeccanica e Fincantieri. Per quanto riguarda la prima, si è fatta in pochi mesi più grave una tendenza già  intravista in precedenza: la riduzione dei budget militari della gran parte dei paesi occidentali per i tagli alla spesa pubblica, tendenza preoccupante per un gruppo che aveva puntato molte delle sue speranze sul settore bellico e che negli ultimi anni aveva intrapreso un grande programma di investimenti centrato su tale comparto, anche all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Intanto anche le speranze riposte dall’azienda nello sviluppo del nucleare si sono evaporate. Verrebbe quasi voglia di dire: peggio per loro, se non fosse per il destino ora incerto di tanti lavoratori e per quello del sistema industriale italiano nel suo complesso.
Nel frattempo, un secondo colpo, a prima vista non meno grave, è venuto fuori dalla rivelazione dei traffici dei vari Bisignani, Lavitola, Mokbel, Tarantino, intorno alla stessa azienda e del possibile coinvolgimento anche dell’amministratore delegato dell’azienda, Guarguaglini e della sua consorte in affari poco leciti. Intanto, come peraltro prevedibile, il governo sembra del tutto assente da qualsiasi serio intervento di politica industriale nei settori dell’energia e dei trasporti, che avrebbero potuto costituire possibili campi di diversificazione, più utili al paese di quelli delle armi e del nucleare. Il gruppo rischia ormai molto e ha, tra l’altro, posto sul mercato Ansaldo Breda, che perde molti soldi anche a causa del management che l’ha mandata progressivamente alla deriva. Così l’Italia, dopo aver venduto ai francesi qualche anno fa la produzione dei treni ad alta velocità , cede adesso l’ultima importante sua presenza nel settore ferroviario.
Ma se Finmeccanica piange e sulla stampa appaiono articoli molto allarmati, anche Fincantieri non ride. Mentre i produttori asiatici, e in prima linea cinesi e coreani, conquistavano fette crescenti del business della cantieristica navale per diventare oggi la presenza dominante sulla scena mondiale a scapito dei produttori europei, i gruppi dirigenti dell’impresa, complice tutto il sistema paese, stavano in sostanza a guardare. Ora la realtà  del mercato globale ha obbligato tutti a un brusco risveglio. In luglio l’impresa annunciava la chiusura di due cantieri sugli otto esistenti, Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, una misura poi ritirata sulla pressione delle parti sociali che hanno spinto anche il governo a intervenire. Si stanno ora studiando con affanno misure alternative, ma probabilmente ancora abbastanza drastiche, in particolare con il possibile varo di un rilevante piano di esuberi. Ma le prospettive dell’azienda appaiono complesse e comunque difficili.
(testo integrale su www.sbilanciamoci.info)

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