Nella casa blu dove si va a morire “Ma uno su due alla fine ci ripensa”

by Sergio Segio | 30 Novembre 2011 7:24

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PFAFFICON (Zurigo) – La casa blu di Barzloostrasse è la seconda a destra, in una stradina che va a finire nei campi. È incastrata tra il capannone di un’industria meccanica e il Blue Oasis, taverna croata, specializzata in cevacpici. Sarà  per il blu, il tavolino in giardino, lo scroscio dell’acqua della fontana, il laghetto, il prato all’inglese, ma sembra una casa di bambola, finta. Non c’è nessun cartello. Non c’è nemmeno il cancello. Neppure altre barriere, del resto: come se la casa della morte non volesse affatto nascondersi. C’è solo – qui, alla periferia di Pfafficon, venti chilometri da Zurigo, ordinata e silenziosa Svizzera tedesca – una fila di pini e una siepe di lauro, ma bassa abbastanza da poter vedere cosa succede là  dietro. È questo l’ultimo indirizzo di Dignitas, l’associazione che vuole che la morte sia dignitosa come la vita e che pretende che l’ultimo diritto dell’uomo sia quello di decidere come e quando mettere il punto finale alla propria esistenza.
Centoquaranta persone, fino ad ora, quest’anno, hanno visto il mondo per l’ultima volta dal letto reclinabile con il sacco lenzuolo fiorato che è qui, al piano terra. Hanno sentito come ultimo odore quello del fritto del ristorante. Hanno visto dalle grandi vetrate il verde opaco dei pini argentati. Un’iniezione, quindici grammi di pentobarbital di sodio sciolto in 60 centilitri d’acqua, due minuti, poi il sonno. E, dopo, il coma profondo. E dopo ancora solo la morte. Nella casa c’è spazio per gli ultimi saluti. C’è un grande divano di pelle bianca, c’è un tavolo tondo con attorno sei sedie. C’è la legna per il caminetto. I cioccolatini su un vassoio. Ci sono vasi di orchidee colorate. C’è la sedia a rotelle e il braccio che sostiene la flebo. Perché chi arriva qui è davvero già  vicino alla fine. Distrutto nel corpo, ma lucido nella mente. L’ultimo atto – spingere lo stantuffo della siringa, bere, schiacciare un pulsante che faccia entrare in qualche modo nelle vene il veleno – deve essere fatto dalla persona che vuole morire.
Scrivono, telefonano, bussano in tanti. Lo fanno uomini e donne così malati da pensare di non poter più farcela a vivere. Nel 2010 novantaquattro suicidi. Ma non è vero che basta prendere la tessera dell’associazione (duecento franchi), né pagare i servizi (8.500 euro), per comprare la morte. «In tredici anni – dice l’avvocato Ludwig Minelli, 79 anni, il fondatore – abbiamo aiutato a vivere tra le 30 e le 40 mila persone e solo 1.200 le abbiamo aiutate a morire». Dopo il primo contatto, bisogna costruire il percorso. Dignitas chiede che chi non vuole più vivere, lo scriva e spieghi il perché. Vuole sapere la storia della persona e vuole vedere la documentazione sanitaria. È un medico a valutare le cose e a decidere se è possibile accendere quella che chiamano «la luce verde provvisoria». Significa che se il medico è d’accordo, la malattia è terminale e non ci sono speranze, è possibile scrivere quella ricetta. Non sono accettati casi di depressione, perché la Corte federale ha chiesto che sia una perizia psichiatrica a dimostrare la gravità  della malattia e nessuno psichiatra vuole spingersi a tanto. Raccontano che sapere che c’è, aperta, un’uscita di sicurezza, sia un formidabile deterrente: il 70 per cento di chi ha visto quella luce diventare verde, non ha più contattato l’associazione. Solo il 13 per cento è tornato e ha continuato la strada fino alla fine. Burocrazia al minimo, prima. Ma dopo, è necessario essere precisi. Un medico legale, il procuratore cantonale e la polizia arrivano per un sopralluogo, perché quello che la legge non proibisce, qui, è l’assistenza al suicidio, sempre ché non nasconda interessi. E dunque deve essere chiaro che è stato suicidio, libero, determinato, con la persona che ha schiacciato da sé l’ultimo bottone e con un filmato, eccolo, che mostra l’ultimo atto.
Ai tavoli della croata di Blue Oasis una coppia di mezza età  si è fermata a mangiare. Poi l’uomo, che parla italiano, bussa alla porta della casa blu: sono il papà  di Marco, dice, abbiamo appuntamento domani. Neppure le lucine dei mille alberi di Natale sembrano più rischiarare la notte di Pfafficon,

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