Napolitano al premier: atti immediati Il Colle chiede una tempistica serrata

by Sergio Segio | 9 Novembre 2011 7:36

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ROMA — Dopo quel che è successo alla Camera, non si può far finta di nulla. Il voto sul rendiconto generale dello Stato ha offerto un segno politico inequivocabile, dal quale devono discendere iniziative istituzionali immediate.
È questo, quasi alla lettera, l’approccio con cui il presidente della Repubblica ha accolto ieri sera al Quirinale un Silvio Berlusconi provatissimo per l’eclissi della sua maggioranza. Talmente provato (e lo rivelava il tono del suo sfogo contro i «traditori» del Pdl e il suo stesso body language, con sorrisi stereotipati e un gesticolare nervoso) da ammettere che sì: stavolta non ci sono margini, non ha più la fiducia e ormai gli restano solo le dimissioni. È pronto a darle. Ma, concorda subito con il padrone di casa, è bene siano posticipate per il tempo necessario ad approvare la legge di stabilità , «opportunamente emendata» alla luce delle ultime «osservazioni e proposte della Commissione europea». Il prima possibile, certo.
«Poche settimane», promette, spiegando che pure lui tiene a dare dimostrazione della credibilità  dell’Italia e del suo impegno «di statista» davanti ai partner di Bruxelles, al mondo finanziario e ai mercati. Poche settimane, riflette Giorgio Napolitano, preoccupato che sia garantita una tempistica serrata, al punto da telefonare in serata al presidente della Camera, al capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro, e a qualche altro, affinché aiutino a stabilire un calendario ad hoc e incassando una responsabile disponibilità . Dopodiché il Cavaliere «rimetterà  il suo mandato al capo dello Stato, che procederà  alle consultazioni di rito «dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle delle opposizioni».
Così recita il comunicato diffuso in serata dal Colle, con cui viene ratificato — e blindato — questo sbocco condiviso. Un accordo dal quale non si può ovviamente tornare indietro. Una decina di righe che, oltre a predeterminare il percorso della crisi, ratificano la fine dell’era berlusconiana e la chiusura di un lungo capitolo. Un passo indietro e una resa (procrastinata per carità  di patria) che non avviene per via giudiziaria o per una scelta personale, ma — appropriatamente — per un passaggio in Parlamento. E, va aggiunto, sotto la pressione costante e crescente dell’Europa. Ne sono consapevoli sia il presidente che il premier, nei 40 minuti di faccia a faccia che le fonti ufficiali definiscono «dominato dalla consapevolezza della gravità  del momento». Un incontro, dunque, carico di tensioni e di emozioni. Come quando il premier si concede uno scatto di rabbia verso chi gli ha girato le spalle, segnalandone «l’ingratitudine» e filosofeggiando con qualche battuta sulla fragilità  della «natura umana». Non hanno però a che fare con la filosofia, gli argomenti che Napolitano gira all’ospite: è rimasto molto colpito dalla nuova lettera in 39 punti del commissario dell’Ue Olli Rehn, che mettono in mora l’esecutivo italiano e ne smascherano l’inerzia.
Ecco il nostro più grande problema. Che per il capo dello Stato adesso impone di dare la precedenza assoluta alla legge di stabilità . L’ultima impennata dello spread, da ieri pericolosamente vicino al cosiddetto «punto di non ritorno», conferma l’emergenza. E, per il Quirinale, esclude dalla road map ogni tatticismo o strategia dilatoria (con chissà  quali intenti nascosti, da parte del premier) temuti dalle opposizioni.
Semplicemente: non ci sarà  spazio per quel tipo di manovre. Berlusconi, dopo il colloquio con Napolitano, lo sa. E, anche se ha tentato di mettere le mani avanti suggerendo fin d’ora elezioni anticipate dopo le sue dimissioni, conosce le paure del presidente della Repubblica di fronte alla prospettiva di tre-quattro mesi di paralisi. Il Colle, quindi, per quanto la strada sia molto impervia, verificherà  se sia politicamente praticabile un’alternativa in grado di far nascere un governo per un congruo periodo di tregua.
Una «maggioranza per l’Europa», come è stata chiamata da quanti hanno evocato addirittura i nomi dei possibili candidati all’incarico: dal «tecnico» Mario Monti a Giuliano Amato, mentre il centrodestra vorrebbe invece (forse) Gianni Letta o Angelino Alfano. O magari, stando alle chimere di qualche ultrà  berlusconiano, un reincarico per lo stesso Cavaliere, perché porti lui il Paese alle urne.
Nel frattempo, l’altra questione aperta riguarda le opposizioni. Qualcuno si sta già  chiedendo: non è che il capo dello Stato ora premerà  affinché il centrosinistra dia una mano a Palazzo Chigi sulla legge di stabilità ? La risposta del Quirinale è quella di sempre: ferma restando l’ovvia differenza di ruoli, nulla impedisce che, nell’interesse dell’Italia, in qualche caso i due fronti possano convergere. In fondo, è accaduto pure ieri.

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