Milano, Pisapia e Boeri il duello delle sinistre

by Sergio Segio | 29 Novembre 2011 8:59

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Ecco qualcosa di davvero incomprensibile per gli elettori: la maledizione di Montezuma della sinistra, l’eterna sfida di personalità  che avvelena i pozzi della politica e porta lo scontro nella stessa metà  campo per la gioia scomposta degli avversari, quelli dell’altro schieramento, che ridono sguaiati e fanno sberleffi. Che smacco, che delusione per le decine di migliaia di cittadini milanesi.

I cittadini che hanno festeggiato appena pochi mesi fa la nuova primavera arancione. Che delusione questo scontro tra Boeri e Pisapia, gemelli diversi, queste “personalità  incompatibili” segnate da storie personali e politiche così simili, un grande avvocato e un grande architetto, buone famiglie buona borghesia buoni studi buone frequentazioni buon cursus honorum, buona gavetta in politica fino al successo elettorale clamoroso e insperato, miracolo a Milano. E che bella fu la scelta di Boeri di sostenere Pisapia in campagna elettorale, dopo aver perso le primarie: che lezione di stile, che esempio di buona politica, che lezione per quei dirigenti del Pd che consideravano – con la vittoria di Pisapia – di aver perso le primarie quando, disse Boeri, «le primarie non si perdono mai: si fanno, e ci si stringe a chi le vince». Dunque cosa impedisce a questi due campioni della sinistra milanese di trasformare la città  e la politica, di ridare slancio alle speranze e fiato alle passioni – si chiedono sgomenti a migliaia i militanti, catene di appelli sul web, artisti mobilitati, Celentano che interviene a far da paciere, raccolte di firme e tam tam sulla rete?
Due modi diversi di concepire la politica, dicono sottovoce e con qualche malanimo gli uomini e le donne dei rispettivi staff. Rivalità  personale, certo, come è ovvio tra due sfidanti che continuano a darsi di fioretto, come se le primarie non fossero mai finite. Ma soprattutto due modi diversi di pensare la sinistra. Dicono gli uomini di Pisapia che Boeri sia un battitore libero, una personalità  solitaria incapace di giocare in squadra, un radicale intemperante, un utopista. Dicono gli uomini di Boeri che Pisapia sia l’incarnazione della realpolitik di sinistra, un mediatore che cerca e trova il compromesso, una figura classica della sinistra milanese cresciuta tra eccellenti salotti e centri sociali, un radicale che piace al centro. E dal rapporto con Formigoni, in effetti, nasce la polemica che sottotraccia è venuta crescendo in questi mesi. Avuta la delega all’Expo, Stefano Boeri non ha mai smesso di ripetere che non si doveva e non si poteva sottoscrivere il progetto Moratti: per quanto non ci fosse tempo, per quanto le ragioni della convenienza dicessero contrario, per quanto potesse essere il prezzo da pagare per ottenere la vittoria elettorale e forse proprio per questo. Lo ha ripetuto fino a che in un’intervista a Radio Popolare lo ha detto chiaro: È stata regalata l’Expo a Formigoni. Cementificazione. Le aree verdi saranno un’elemosina.
Pisapia ha dato segni d’insofferenza pubblici ad ogni esternazione di Boeri: troppo twitter, troppo Facebook, troppe decisioni comunicate in solitudine senza discuterle, troppo fastidio per le liturgie della politica. Il caso dell’Ambrogino a Cattelan è stato il più recente diverbio esemplare. Boeri lo ha proposto, Pisapia ha replicato «mi avvalgo delle facoltà  di non rispondere», Cattelan non ha avuto il premio.
Alla differenza di stile personale si aggiunga che non tutto il Pd ha appoggiato Boeri, per quanto possa apparire paradossale. L’uomo delle 13.500 preferenze, secondo a Milano solo a Silvio Berlusconi e oggi capodelegazione Pd in Comune, è vissuto dall’apparato storico del partito come un estraneo. Un outsider che ha scombinato piani e gerarchie, che non deve ringraziare nessuno e si comporta di conseguenza: molto polemico col partito stesso, un battitore libero amato più dagli elettori che dai colleghi in consiglio comunale, più dai giovani che dai dirigenti, più stimato all’estero che in patria. Del resto, che Boeri fosse estraneo alla disciplina di partito lo si sapeva dal principio. Che la sua posizione sull’Expo – di cui lui stesso, da architetto, si è occupato – fosse assai poco conciliante pure. Ora che si è dimesso da assessore alla Cultura, ora che i militanti e gli intellettuali milanesi chiedono a Pisapia di respingere quelle dimissioni siamo in mezzo al guado, alla prova del fuoco. Il sindaco, dicono, è tentato di lasciargli la Cultura riprendendosi la delega all’Expo – e Boeri accetterebbe – ma teme di “fare marcia indietro”, di perdere la faccia. Dalla base sale la richiesta unanime: sensatezza, coraggio, rinuncia all’orgoglio personale in nome dell’interesse della città  e di una certa idea di sinistra che da Milano si vorrebbe contagiasse il Paese. Sarebbe un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità . Pisapia ha una enorme responsabilità , una grande occasione di mostrare cosa può essere la politica. I milanesi, gli italiani lo guardano.

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