Mediaset, divorzio, eredità  l’impero economico di Silvio adesso rischia l’assalto

by Sergio Segio | 8 Novembre 2011 8:24

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MILANO – Più che una riunione di famiglia, un consiglio di guerra. Il tradizionale pranzo del lunedì ad Arcore tra Silvio Berlusconi, i figli e i suoi collaboratori più fidati si è trasformato ieri, causa emergenza politica, in un delicatissimo summit sul futuro della Dinasty brianzola e delle aziende di casa. Ordine del giorno: le conseguenze su Fininvest e dintorni delle eventuali dimissioni del premier. Presenti (sicuri) al tavolo Marina e Pier Silvio, mentre non è stata confermata la partecipazione di Barbara, Luigi ed Eleonora, i tre figli di Veronica Lario.
La posta in gioco è molto alta su diversi fronti. Il capitolo più delicato nell’immediato è – come ovvio – il destino di Mediaset. Finita non a caso ieri sull’ottovolante in Borsa (fino a una chiusura piatta) non appena si sono sparse le voci sull’addio del Cavaliere. Le tv di casa Berlusconi – protette dall’ombrello del conflitto d’interessi, dalla Gasparri e da una curiosa predisposizione dei grandi inserzionisti privati a privilegiare gli spot sui network di Cologno – hanno surclassato negli ultimi anni le performance della Rai. Regalando ai loro soci, Silvio compreso, una pioggia d’oro di dividendi. Nel 2000, per dare un’idea, gli spot garantivano a viale Mazzini una cifra pari al 60% di quella incassata grazie alla pubblicità  da Mediaset. Oggi la percentuale è scesa al 40%. La raccolta di Publitalia ha regolarmente surclassato quella della Sipra. Salvo il 2006 e il 2007, gli anni del governo Prodi, quando Saxa Rubra – guarda caso – è riuscita a tenere il passo della rivale.
Cosa rischiano Canale 5 & C. in caso di crisi di governo? Il timore dell’ala catastrofista di Arcore (quella guidata da Marina, non a caso uscita allo scoperto sempre più spesso negli ultimi mesi in difesa del padre) è chiaro: una riedizione di quella riforma Gentiloni che imponeva un tetto più severo alla raccolta di pubblicità  del Biscione. Un colpo che rischia di essere quasi mortale per un gruppo già  alle prese con i guai di Endemol – il produttore de “Il Grande fratello” in cui Mediaset ha perso quasi 500 milioni – l’offensiva di Sky e i segni di stanchezza della tv generalista.
La Borsa ha già  fiutato aria di guai, tanto che da inizio anno i titoli di Cologno hanno perso il 47%, bruciando 1,1 miliardi dei risparmi di Arcore. Questa voragine rischia però di allargarsi ancora di più se la società  rimarrà  orfana degli “aiutini” confezionati a intervalli regolari dal governo del suo socio di riferimento negli ultimi tre lustri: senza leggi salva Rete 4, sovvenzioni per i decoder, Iva anti-Murdoch e aste gratuite per le frequenze digitali – dicono gli analisti – far quadrare i conti del Biscione sarà  molto più difficile.
L’altro argomento caldissimo sul tavolo del summit di Villa San Martino è stato, con ogni probabilità , la delicata questione della spartizione ereditaria dell’impero del premier. Una partita complicata dalla burrascosa separazione da Veronica Lario e dalle tensioni latenti tra i due rami della famiglia.
Il Cavaliere su questo fronte ha le mani legate dalla legge italiana che allo stato privilegerebbe i figli di secondo letto. Una volta non sarebbe stato un problema: la legge, se guidi il governo, puoi sempre cambiarla. E Berlusconi – nella miglior tradizione della real casa – ha affidato anche in questo caso la soluzione dei suoi problemi a una norma ad hoc (la famigerata anti-Veronica) infilata alla chetichella nell’ultimo decreto di stabilità . Un intervento a gamba tesa sulla “legittima” destinato a riportare nelle sue mani ogni decisione sulla redistribuzione delle quote in Fininvest. Il cammino della 41esima legge ad personam del suo regno, però, rischia di fermarsi su un binario morto in caso di dimissioni. Rimescolando le carte di una partita, quella dell’eredità  di famiglia, che da un paio di anni è una spina nel fianco del Cavaliere.
Non c’è da stupirsi, insomma, se il pranzo di ieri ad Arcore ha rischiato di andare di traverso a qualcuno. L’importante, in casi come questi, è annacquare i dispiaceri di oggi ripensando alla tante gioie degli ultimi 17 anni. Nel 1994, quando Silvio Berlusconi è sceso in politica, nelle casse delle holding di famiglia c’erano 162 milioni di liquidità . Ora, un dividendo alla volta, la dinastia brianzola ha depositato in banca la bellezza di 1,2 miliardi, moltiplicando per sette la propria ricchezza. Non solo. Sotto il cappello della Fininvest e delle altre società  personali del Cavaliere è stato raccolto un patrimonio che tra tv, ville da sogno, vulcani artificiali, polizze, calciatori e libri Mondadori vale qualcosa come 4 miliardi di euro al netto dei debiti e degli stanziamenti per le Olgettine. La torta è grande. Difficile, anche in caso di dimissioni, che qualcuno resti a becco asciutto.

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