Maroni avverte Alfano «Così si sancisce la rottura»
MILANO — «Niente sconti. A nessuno». Roberto Maroni ha ormai indossato i panni dell’oppositore. Senza esitazioni: anche perché «se ci fosse soltanto la maggioranza, diventerebbe un Parlamento come quello di Gheddafi».
Detto questo, per il momento, c’è poco da fare: l’opposizione al governo Monti «segna la rottura dell’asse con il Pdl». Non è detto sia per sempre. Con un filo di ironia, il generale leghista osserva: «Siccome Casini ha detto che si vota tra un anno e mezzo, utilizzeremo questo tempo per capire se ci sarà ancora un’alleanza con il Pdl, un’alternativa, o se la Lega correrà da sola. Oggi però si è interrotto il percorso iniziato nel 1994». Detto questo, il pronostico dell’ex ministro sulle tre opzioni da lui stesso esposte qual è? Maroni preferisce giocarsi la tripla: «1 X 2».
L’esponente leghista trova il modo per esprimere solidarietà all’ex premier: «Berlusconi avrà modo di riscattarsi da quella brutta immagine di piazza, dove c’era una voglia di linciaggio nei confronti di una persona che non è stata sfiduciata e che ha deciso di fare un passo indietro perché era stato messo sotto processo a causa dell’andamento dei mercati».
Ma le parole di Maroni mettono in allarme i territori. Preoccupano una parte del Carroccio, ma soprattutto il Pdl. Certo, il generale leghista precisa che la questione non riguarda le amministrazioni esistenti, «che hanno ricevuto il sigillo del voto degli elettori». Eppure, la tornata elettorale della prossima primavera sarà significativa soprattutto per il Veneto, dove vanno al rinnovo due amministrazione strategiche: Verona e Treviso. Oltre alla Provincia di Treviso, in cui il presidente leghista Bottacin è stato appena sfiduciato dal Pdl.
Ieri mattina, per raffreddare gli animi, il governatore veneto Luca Zaia, nel suo tradizionale appuntamento del martedì con la stampa, aveva spiegato che il Carroccio veneto «mantiene saldo il rapporto di alleanza in Regione». Certo, ha ammesso, «si sta aprendo uno scenario irreale il cui futuro nessuno può ipotecare». Ma, appunto, «per la nostra Regione ribadisco che il nostro impegno è quello che abbiamo preso con i cittadini veneti». Resta da capire come mai il governatore di una regione come il Veneto lunedì scorso non sia stato convocato in via Bellerio per la segreteria del movimento.
Giusto in quella sede, Umberto Bossi ha affrontato un tema che sta surriscaldando i rapporti all’interno del movimento. Parlando dei capigruppo alla Camera e al Senato, ha spiegato che per il momento i ministri uscenti non dovrebbero assumere incarichi interni: «Non dobbiamo dare l’idea dei poltronisti». Insomma, per il momento Marco Reguzzoni e Federico Bricolo rimarranno al loro posto. Resta tuttavia aperta la questione delle presidenze di commissione che vengono attribuite alle opposizioni. Il Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, per esempio, per legge va attribuito alle minoranze: in questo momento, solo la Lega. Ma c’è anche la Vigilanza Rai, la giunta per le autorizzazioni e quella per le incompatibilità che per prassi vengono affidate alle opposizioni. E pochi troverebbero strano se il Copasir venisse affidato all’ex ministro dell’Interno.
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