L’ultimatum ad Atene «Dentro o fuori dall’euro»

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BRUXELLES — A notte fonda e in un luogo quasi surreale, il Palazzo dei Festival di Cannes, Francia e Germania presentano il loro conto alla Grecia, con l’assenso dell’Unione Europea: niente più aiuti, congelati anche i sospiratissimi 8 miliardi in arrivo a metà  novembre, se il piano di riforme già  concordato con l’Ue non sarà  adottato in pieno, se a gennaio dovrà  passare all’ulteriore vaglio di un referendum popolare come annunciato l’altro ieri dal premier George Papandreou, e se sarà  bocciato.
Queste sono le decisioni prese nel drammatico pre-vertice convocato a Cannes poche ore prima dell’incontro del G20. Con un’ipotesi di compromesso: gli aiuti potranno sì arrivare ma soltanto dopo l’eventuale referendum ravvicinato in tempi brevi, la data proposta è il 4-5 dicembre, e naturalmente solo se vincerà  il «sì»; un mesetto di rinvio, e con le casse dello Stato già  vuote.
Non è solo rabbia, quella dell’Europa, per una mossa greca che è parsa rimettere in discussione gli accordi presi. È soprattutto paura, per le sorti di tutta l’Eurozona tenute in bilico dal suo Paese più indebitato. «Spero nel referendum per il 4 dicembre e ho fiducia nel sì», annuncia Papandreou. Ma la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, che gli sono seduti di fronte, suonano su un altro spartito: «Noi vogliamo che la Grecia resti nell’euro». Aggiunge Sarkozy: «Dovete decidere voi se restare o no, ma se nel referendum vincerà  il no sarete fuori. Siamo pronti ad aiutarvi, ma dovete rispettare gli impegni. Dovete fare chiarezza, alla chiarezza sono legati anche i prestiti». Chiude la cancelliera, gelida: «La nostra priorità  è la stabilità  dell’euro, con o senza la Grecia. Non lasceremo che l’euro sia distrutto». Come dire: se qualcuno ha voglia di una passeggiata nel bosco, la porta è aperta.
Quasi un duello, dunque, con le voci dell’emergenza. E l’emergenza c’è davvero. Perciò il vertice G20 che inizia oggi ha avuto nella notte questo prologo, perciò Papandreou — leader di un Paese che del G20 non fa parte — è stato lo stesso convocato d’urgenza (ma oggi saranno «a rapporto» anche due Paesi membri del G20, Italia e Spagna).
Merkel e Sarkozy hanno cercato di indurre Papandreou a cambiare l’oggetto del referendum: non più le riforme, ma la permanenza della Grecia nell’euro. Il premier greco sarebbe disponibile a un compromesso: un nodo centrale della consultazione, dice ora, sarà  decidere se vogliamo o no restare nella moneta unica.
Intorno allo stesso tavolo con lui, siedono in 5: Merkel, Sarkozy, il capo della Commissione Europea José Manuel Barroso, il presidente del Consiglio Ue Herman van Rompuy, il direttore generale dell’Fmi Christine Lagarde. Come dire: tutti quelli che hanno in pugno, o in tasca, le chiavi della sopravvivenza greca. Lo sfondo è quello di un’Europa con il respiro corto: con un giornale austriaco che titola «Ora basta, fuori i greci dall’euro», o con Sarkozy che sibila «Papandreou ha colto di sorpresa tutta l’Ue». Ora l’incertezza è giunta al culmine, e tanto per cambiare l’Europa si divide: Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Francia chiedono la linea dura contro Atene; altri — la Spagna e i Paesi dell’Est esclusa la Polonia, schierata con la Germania per mille concreti motivi — frenano, pensando che non sia opportuno «buttare il bambino con l’acqua calda», per dirla con una fonte diplomatica di Bruxelles; e cioè «sgozzare l’Eurozona e frantumare l’euro solo per bastonare la Grecia».
Ma non è detto che tutti la pensino così.


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