Lo sciopero Usb contro i tagli e le «chiusure»

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Ma nelle altre città , riportano le note e anche le testimonianze dal vivo, è andata molto diversamente. Per Roma L’Usb parla di un’adesione media al 65%. «Chiuse la metro A, la ferrovia Roma-Ostia e la Termini-Giardinetti. Il Cotral è fermo all’80%». La metro B ha funzionato per qualche ora soltanto con quattro convogli e tempi di attesa lunghissimi, «solo per non dichiararla chiusa». Stesso tentativo era stato fatto anche sulla linea A, «mettendo al posto di guida alcuni ispettori, mentre nelle stazioni non c’era personale, con problemi evidenti per la sicurezza», spiega Paolo Leonardi, coordinatore nazionale. Assemblee dei lavoratori sono state segnalate in diversi depositi. Un appoggio concreto è arrivato dai Blocchi precari metropolitani, che a Portonaccio hanno solidarizzato con i tranvieri, volantinando tra gli abitanti facsimili di abbonamenti gratuiti.
Venezia e Bologna sono rimaste bloccate all’80%. Percentuali a parte (le aziende ne hanno fornite ovviamente di minori, ma mediamente molto più alte di quelle ammesse di solito), è chiaro che non hanno scioperato soltanto gli iscritti a questo sincadacato di base (si è aggiunta anche la Faisa-Cisal, per sole 4 ore). Così come era avvenuto il 3 ottobre, è stata intercettata una preoccupazione che accomuna tutti i dipendenti dei servizi pubblici, al di là  della tessera che si tiene in tasca.
Le ragioni dello sciopero sono rapidamente riassumibili: «contro la privatizzazione di un bene comune come il trasporto pubblico, impedire che i costi delle manovre economiche e delle ‘parentopoli’ (come quella recente all’Atac, ndr) vengano scaricati su lavoratori e cittadini». Si difende, sottolineano, «non solo alcune migliaia di posti di lavoro, ma la possibilità  per tutta la cittadinanza di muoversi a costi contenuti».
Due scioperi riusciti in un mese dovrebbero convincere «le associazioni datoriali» (Asstra e Aran) che «è ora di aprire una vera interlocuzione con Usb, affrancandosi finalmente dai diktat di Cgil, Cisl e Uil». Qui sembra venire al pettine un problema politico di lunga data – quello della «rappresentanza» – finora risolto molto malamente con la definizione di «sindacati maggiormente rappresentativi» – che esclude di fatto dalle trattative nazionali sigle che dimostrano invece di avere un forte radicamento. «In quasi tutte le aziende locali – spiega ancora Leonardi – siamo riconosciuti come interlocutori, mentre a livello nazionale no. Siamo al paradosso che Marcello Panettoni, presidente nazionale dell’Asstra, non dialoga con noi nesse sedi nazionali, ma a Venezia – nell’azienda che dirige – sì». Difficile trovare soluzioni efficaci, tra soldi che vengono a mancare e «chiusure» che non reggono la prova dei fatti.


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