«Niente ribaltoni, elezioni anticipate»

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ROMA — Il viso è una maschera funerea per alcuni secondi, le labbra sono serrate, gli occhi fissi e rivolti al numero elettronico che segna la giornata e forse la fine di una storia politica: 308 voti, troppo pochi.
Alcuni attimi e Berlusconi dà  i primi segni di reazione: «Portatemi i tabulati». Controlla i fogli e scorre con le dita i nomi dei traditori, uno per uno, con una calma che copre l’emozione; c’è anche Antonione, gli ha battezzato la figlia. Chi gli sta accanto lo descrive «frastornato».
La botta è stata avvertita, «dolorosa» dirà  lui stesso. Lo fa vacillare. Il premier ha bisogno di non sentirsi solo, si alza per un attimo, poggia una mano sulla spalla di Bossi; «ragazzi, stringiamoci e decidiamo subito cosa fare, decidiamolo insieme», sono le prime parole.
I primi passi invece, una volta fuori dall’Aula, verso la stanza del governo, rimettono in moto i sogni dell’uomo: «Meglio il voto a questa agonia, siamo solo quattro, cinque punti sotto la sinistra, con una campagna elettorale ben fatta possiamo recuperare», confida a chi gli sta accanto.
Con questa idea in testa, con uno schema che dovrebbe portarlo al voto a gennaio, o ai primi di febbraio, il Cavaliere lascia Montecitorio ed entra a Palazzo Chigi, poi lascia il palazzo del governo e si reca al Colle: «Con lo spread a 500, con la preoccupazione per questo stato di cose, ho fatto un gesto di amor patrio», dirà  tornando a casa, al Corriere, convinto di aver scelto la cosa giusta.
Aveva sperato sino all’ultimo, si era messo in testa di doverli sfidare e guardare negli occhi, «queste persone che dimostrano com’è fatta la natura umana», che a suo giudizio hanno tradito lui e non il mandato elettorale, «pensate, ben sette dalle file di Forza Italia, cresciute con me»: lo aveva promesso e lo ha fatto.
E quando sale al Colle, per la settima volta in due mesi, non ha ancora ben chiare le conseguenze di quanto accaduto: Umberto Bossi dice che l’alleato sta per andare, «ma deciderà  lì quale decisione prendere»; Giuliano Ferrara anticipa lo schema, dimissioni dopo il voto delle misure economiche, ma ammettendo che il presidente del Consiglio che ha finalmente varcato il portone del Quirinale «non sa bene cosa fare».
Dopo 45 minuti di colloquio Berlusconi trova una forma di chiarezza, concordata con la prima carica dello Stato: non è andato per dimettersi, ma per annunciare al mondo che lo farà  fra pochi giorni, «farò un appello alle opposizioni» e non appena saranno legge le misure contenute nella legge di stabilità  rimetterà  il mandato.
Per colui che sino a qualche giorno fa era convinto di avere una maggioranza solida, tanto solida da comunicarlo a Cannes come a Bruxelles, ad un incredulo Sarkozy o ad una scettica Merkel, non è certamente un passaggio facile. Aveva detto che ci doveva andare a sbattere, che nessuna crisi sarebbe nata fuori dal Parlamento, e così è stato. Dopo l’incontro, in cui ritiene di aver acquisito conferma ulteriore di quello che pensa del capo dello Stato, e cioè che Napolitano non farà  un torto alla maggioranza uscita dalle urne nel 2008, che «non asseconderà  alcun tipo di ribaltone», Berlusconi comunica quanto appena accaduto: chiama il Tg1, il Tg5, chiama lo stato maggiore della Lega a Palazzo Grazioli, assieme ai ministri del governo, ad Angelino Alfano, che per Berlusconi sarà  il prossimo candidato del centrodestra.
«Oggi ho provato tristezza, dolore, perché le persone che hanno lasciato la maggioranza erano persone a cui ero legato personalmente da anni», dice in tv. La fase che si aprirà  dopo l’approvazione della legge di stabilità  e le dimissioni del premier, aggiunge, attiene «alle responsabilità  del Presidente della Repubblica che aprirà  le consultazioni», ma «la situazione di questo Parlamento, che è stata fotografata oggi, conferma l’immagine esatta della realtà : non sarebbe pensabile dare responsabilità  di governo a chi ha perso le elezioni, in democrazia si fa così».
Al voto Silvio Berlusconi intende arrivarci con il Pdl, o come si chiamerà  un nuovo contenitore del centrodestra, e con una lista elettorale personale, legata alla sua figura, alla sua storia, e che secondo alcuni sondaggi che circolano ad Arcore oscillerebbe intorno al 15%: un numero che se fosse confermato nelle urne potrebbe certamente condizionare l’assetto del nuovo Parlamento, sia alla Camera che al Senato.
A notte fonda con Bossi e il resto della Lega, con i maggiorenti del Pdl, il Cavaliere che ha annunciato le dimissioni riflette sulle prossime mosse, sbarra la strada a qualsiasi ipotesi ulteriore di dialogo con Casini («pensa soltanto al proprio tornaconto»), comincia a far di conto con una campagna elettorale che nelle sue intenzioni potrebbe cominciare già  fra qualche settimana.


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