L’inverno di Poggioreale
NAPOLI. C’è un luogo dove la splendida idea del capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, di aprire le celle dei carceri e trasformarle in pure «camere di pernottamento», si infrange come una bolla di sapone. Il detenuto Alfonso Papa, già deputato e magistrato, lo chiama «l’inferno di Poggioreale». Per il cronista, impossibilitato a scorgere la dimensione reale del carcere, l’unica cosa certa è che il prossimo inverno sarà molto, molto duro, nella casa circondariale di Napoli. Con 2634 detenuti che vivono chiusi 22 ore al giorno con i blindo sbarrati in celle che potrebbero ospitare complessivamente 1400 reclusi, o al massimo del tollerabile 1743 persone; con 2362 detenuti comuni e solo 699 con condanna definitiva, 671 tossicodipendenti, e solo 169 lavoranti, con un «turn over» medio – si fa per dire – di 16 ingressi e 9 uscite al giorno, con 730 agenti di custodia effettivamente in servizio (che poi in pratica si traduce a uno per piano ad ogni turno), sarà davvero interessante vedere come farà il direttore Cosimo Giordano ad applicare la circolare appena emanata da Ionta e dal direttore dell’ufficio detenuti, Sebastiano Ardita.
La circolare, intitolata «Modalità di esecuzione delle pena – Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione», da applicare entro tre mesi, prevede di “liberare” i detenuti di «media sicurezza» all’interno delle sezioni, ossia di aprire i blindo delle celle almeno per tutto il giorno lasciando ai reclusi – a seconda dell’affidabilità – maggiore possibilità di movimento almeno all’interno della sezione, spazi aperti inclusi.
Altro che «rieducazione»
«Aprire le celle? Ma come faccio in un carcere di queste dimensioni?», spiegava solo qualche giorno fa il direttore Giordano, davanti all’orrore di vedere tante persone assiepate in spazi così angusti, accompagnandoci nella visita al padiglione Napoli, dove i letti a castello arrivano attualmente al terzo piano (ma in alcuni momenti anche al quarto), con stanze di venti metri quadri in cui vivono dalle sei persone in su. «Io sono un trattamentalista – continua Giordano – ma senza soldi, senza uomini e mezzi, hai voglia a parlare di reinserimento sociale del detenuto». La parola «rieducazione», poi, è davvero fuoriluogo in un posto dove «a metà degli anni ’80 lavoravano 350 detenuti mentre oggi ne lavorano solo 169», come racconta il comandante degli agenti, il commissario Salvatore D’Avanzo, da 18 anni a Poggioreale e dal ’77 al Dap. Che spiega: «Negli ultimi anni è cambiato tutto, sono aumentati i malati psichici, i drogati, gli emarginati. A cosa è dovuto? Io credo al fallimento del mondo “fuori”». Educatori: 13, in servizio per due giorni la settimana (207 detenuti da seguire a testa). Psicologi: uno distaccato dall’Asl che affianca i quattro psicologi del carcere in servizio al reparto “Nuovi giunti” (dove attualmente ci sono 320 persone), più altri quattro psicologi per poche ore settimanali a disposizione di tutti gli altri. Inutile dire che gli psicofarmaci sono le medicine più richieste e più utilizzate.
«I tentativi di suicidio sono molti, sapesse quanti ne riusciamo a salvare», spiega ancora Giordano. Sabato 12 novembre però non ci sono riusciti e un uomo sulla cinquantina, un «ottimo falegname» entrato in carcere il giorno prima per aver accoltellato moglie e parte della famiglia, si è suicidato malgrado fosse stato inserito nel «Reparto osservazione» e sorvegliato «da un agente ogni 15-20 minuti», racconta il direttore. «In quel frangente si è tolto la vita – continua Giordano – e, malgrado sia il primo caso nel 2010, per noi è sempre un fallimento, anche se nella nostra esperienza sappiamo che se un detenuto vuole suicidarsi lo fa anche se guardato a vista».
Comunque, gli agenti sono troppo pochi e accumulano ore di straordinari pur sapendo che non c’è la copertura finanziaria per tutti: degli 828 poliziotti assegnati, almeno un centinaio sono distaccati al tribunale, dove sono utilizzati per presidiare i passaggi, o nelle corsie di ospedale, o sono addetti alle traduzioni dei detenuti e alle scorte, o sono in permesso (il 15% del totale) per assistere familiari malati usufruendo della legge 104 (requisito richiesto per ottenere il trasferimento di città , e dunque usato maggiormente dagli agenti originari del Mezzogiorno).
Ordine, contro il sovraffollamento
In questo contesto, la disciplina, a Poggioreale, è un’arma importante. Lo si capisce da come i detenuti camminano in fila e con le mani incrociate dietro la schiena, quando si muovono all’interno del carcere, accompagnati dai (pochi) agenti in servizio. «Qui da noi comanda solo lo Stato», si inorgoglisce Giordano, al sevizio del Dap da quarant’anni, quando gli si chiede del potere interno dei camorristi. «La cosa più dura da sopportare, quando sei dentro – spiega un ex detenuto a Poggioreale per sei mesi e poi scagionato – è la doppia legge: le regole imposte dai secondini e il “codice” interno dei carcerati». Ovvio che i capoclan «sono quelli che danno meno problemi» al personale (parola di Giordano), mentre ci vuole polso duro con la criminalità comune, con i tanti spacciatori, taglieggiatori, rapinatori, scippatori, spesso giovanissimi, che entrano e escono dal carcere in continuazione, ammassati in celle dove tocca fare i turni per stare in piedi, con water e cucina tutt’uno in un angolo, e docce sul corridoio – «schifosissime», ci racconta ancora il “nostro” ex detenuto (non avendole potute visitare) – «a disposizione due volte a settimana, e non sempre calde». Non è così dappertutto: l’inverno a Poggioreale sarà un po’ meno rigido in reparti come il Genova, che Giordano è riuscito finalmente a far ristrutturare di recente, con le docce in cella e le pareti ancora immacolate. «Da trent’anni – dice – chiediamo di sfollare Poggioreale perché senza spazio fallisce lo scopo del carcere, che comunque deve essere l’extrema ratio». Il direttore racconta che solo un anno fa ha ottenuto i soldi per ristrutturare la sala colloqui che non era a norma. E ora, per esempio, «abbiamo problemi enormi perfino con il censimento: non ci sono i moduli né tantomeno i computer con cui inserire i dati». «Cosa cambierei? Alcune leggi come quella sulle tossicodipendenze e sulle recidive. Il problema non è dentro il carcere, è fuori».
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