«Intenti di discriminazione etnica e razziale». Nella capitale tanti soldi spesi e nessun risultato

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Dopo la bocciatura dell’Onu (che aveva parlato di «sistematica violazione dei diritti umani») anche il Consiglio di stato si pronuncia, e stavolta definitivamente, sul Piano Nomadi del Governo Berlusconi e sulle sue declinazioni cittadine attuate dai «sindaci sceriffo» in particolare a Roma e a Milano. Va azzerato. Bocciata la linea della Lega e soprattutto il piano del sindaco Alemanno, un buco nero di sperpero di denaro pubblico.
Il 16 novembre scorso, con sentenza n. 6050, il Consiglio di Stato ha statuito «l’illegittimità  del decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008» con il quale si istituiva lo «stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità  nomadi» e si emettevano alcune ordinanze attuative per nominare i prefetti di Roma, Napoli, Milano, Torino e Venezia, e i «commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza» in quelle regioni. Per quanto riguarda la città  di Roma, il prefetto-commissario Giuseppe Pecoraro, il 31 luglio 2009, in veste di «commissario straordinario per l’emergenza nomadi» ha presentato, insieme al Comune di Roma che lo sponsorizzò tantissimo visto che ci aveva costruito sopra gran pare della campagna elettorale, il Piano Nomadi.
La sentenza di Palazzo Spada nasce proprio da qui: il Consiglio di Stato non solo ha rigettato il ricorso in appello della presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero dell’Interno, del dipartimento della protezione civile e delle prefetture di Roma, Milano e Napoli contro la sentenza dell’1 luglio 2009 del Tar di Roma che aveva emesso un primo verdetto favorevole per l’Errcf (European Roma rights centre foundation) ma ha anche accolto il contro ricorso dell’associazione sugli «intenti di discriminazione etnica e/o razziale nei confronti della comunità  rom».
Per il Consiglio di Stato «le motivazioni sono insufficienti per decretare lo stato di emergenza per un pericolo più paventato che realmente esistente». Decadono, quindi, anche le ordinanze presidenziali di nomina dei commissari delegati per l’emergenza e tutti gli atti successivi. In sostanza nulla di quanto fatto è più valido. «È una sentenza da marziani» ha tuonato il leghista Matteo Salvini che ha annunciato l’intenzione di avviare a Milano una raccolta firme a favore.
CHE SUCCEDE
«Ho appreso di questa sentenza ma non siamo ancora in grado di interpretarla esattamente per sapere quali sono le conseguenze» commenta a caldo Alemanno. Ma le conseguenze, almeno su Roma, invece ci saranno e sono importanti. Tanto che festeggiano le associazioni per i diritti umani e i partiti di sinistra dal Pd a Sel. In base alla sentenza si smonta il piano nomadi capitolino perché non sono legittime le procedure di identificazione che le autorità  romane stanno svolgendo tra i rom (il famoso censimento da più parti giudicato xenofobo perchè condotto su base razziale); illegittima la norma che impone i vigilantes nei 7 «villaggi attrezzati» della città ; è illegittimo l’obbligo per i rom di sottoscrivere una dichiarazione di impegno al rispetto delle norme interne di disciplina per risiedere nei campi; è illegittimo il «Dast», la tessera che consente di accedere nei «villaggi attrezzati».
E poi c’è la questione del campo «La Barbuta», per il quale finora sono stati spesi 10 milioni di euro. Dopo infinite traversie il campo doveva essere consegnato il prossimo 15 dicembre, pronto per ospitare circa 650 rom. Ma poggia su una falda acquifera, è situato vicino all’areoporto di Ciampino, su una necropoli romana. Un area non adatta a un insediamento umano. Ora il suo tanto contestato completamento, in base alla sentenza del Consiglio di Stato, è colpito da inefficacia in quanto risultato di un atto «in carenza di potere».
«Perciò la costruzione del campo La Barbuta non può essere considerata legittima e va immediatamente sospesa tuona Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio da tempo denunciamo le azioni del Campidoglio segnate da misure discriminatorie e lesive dei diritti delle comunità  rom e sinte; vigileremo attentamente sulle azioni dell’amministrazione locale volte al pieno rispetto delle disposizioni della sentenza».
Per l’Arci vorrebbe evitare che questa sentenza diventasse «un alibi per Alemanno perché invece è una sconfessione. Ha speso 6 volte tanto di quanto spendevano le giunte di sinistra per peggiorare le situazione. La sentenza dice mai più campi».


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