by Sergio Segio | 16 Novembre 2011 8:53
«È inaccettabile qualsiasi proposta di modifica dell’articolo 18 o che miri a far cassa con le pensioni». Nel Pd, come si sa, non c’è accordo sulla direzione che dovrebbero prendere gli ormai noti «sacrifici» annunciati dal premier incaricato Mario Monti, e l’ex ministro Cesare Damiano, capogruppo in Commissione Lavoro ed esponente dell’area «laburista», fissa i paletti. Nel mirino, in particolare, le proposte dell’area veltroniana e di Pietro Ichino.
Quindi il Pd dirà no ai «licenziamenti facili», qualora, in qualche modo, Monti volesse flessibilizzare l’uscita dal lavoro?
Il partito in due assemblee nazionali, a Roma e a Genova, ha votato no alle modifiche all’articolo 18, e le proposte di Ichino, che prevedono un semplice indennizzo al posto del reintegro, sono in minoranza: sarebbe contraddittorio appoggiare una liberalizzazione dei licenziamenti. Faccio notare che dal 2008 a oggi le imprese hanno chiesto 3 miliardi di ore di cassa integrazione, che ci sono attualmente quasi 500 mila cassintegrati mentre migliaia di lavoratori in mobilità rischiano di perdere il sussidio. E ancora: i disoccupati sono 2,1 milioni, gli scoraggiati 2,7 milioni, i lavoratori in nero 3 milioni. Rendere più facili i licenziamenti sarebbe la via più breve non verso la coesione sociale, ma verso un nuovo «autunno caldo». Non credo alla teoria secondo cui licenziando i padri si assumono i figli: piuttosto, puntiamo sul contratto di apprendistato, che costa meno per tre anni; poi, per chi assume a tempo indeterminato, reintroduciamo un credito d’imposta. E facciamo costare gli atipici più degli stabili.
La lettera della Bce però chiede licenziamenti più facili, anche tagli al pubblico impiego e nuove riforme delle pensioni. Come intendete rispondere voi del Pd, a fronte di un Monti che da qualche parte dovrà pur usare le forbici?
La lettera della Bce non può essere presa a scatola chiusa: è giusto chiedere l’equilibrio nei conti e il pareggio di bilancio; dico sì anche al potenziamento della contrattazione decentrata: soprattutto ricordando che si fa riferimento all’accordo del 28 giugno, che inultimente Sacconi ha cercato di mettere in discussione con l’articolo 8 della manovra d’estate. Così come è giusto procedere a qualche dismissione, ma purché non si vendano le golden share dei gioielli di famiglia, tipo Eni, Enel e Finmeccanica. Non concordo, come ho già detto, sul rendere i licenziamenti più facili; sui tagli degli stipendi del pubblico impiego; sul far cassa sulle pensioni. Altrimenti si continua quella stessa politica liberista che ci ha portato a questa situazione. E aggiungo anche che io e Franceschini abbiamo depositato una proposta di legge per cancellare l’articolo 8.
Quindi dove prendere i soldi? Una patrimoniale?
Sulle pensioni, prima di richiedere nuovi tagli, si dovrebbe fare il conto delle risorse risparmiate a seguito delle «riforme» Berlusconi: mi piacerebbe che a questi miliardi risparmiati sullo Stato sociale si facessero corrispondere altrettanti miliardi guardando alle rendite, ai patrimoni e alla speculazione. Io sono favorevole a una patrimoniale o alla reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, ma secondo il modello Prodi che aveva esentato i redditi medio-bassi facendo pagare i più ricchi; poi i Paesi dovrebbero concordare una Tobin tax sulla speculazione internazionale; e la tassazione sulle rendite deve essere allineata al 20%, escludendo ovviamente i Bot e i Cct.
Eppure l’attacco alle pensioni è sempre attuale: avete proposte alternative riguardo a quelle di anzianità , che molti vorrebbero cancellare del tutto?
Credo che il sistema migliore sia quello flessibile, con una possibilità di scelta per il lavoratore dai 62 ai 70 anni. Nel caso in cui un lavoratore con il vecchio sistema retributivo scelga di uscire prima del previsto, dovrà avere un assegno più basso in modo da pareggiare il conto dell’anticipo. Da questa formula, però, devono restar fuori coloro che hanno già maturato 41 anni di contributi: sono persone entrate al lavoro a 15 anni, che in molti casi hanno conseguito la terza media con le 150 ore; che hanno svolto per tutta la vita un lavoro manuale, quindi faticoso. Possiamo pensare che restino al lavoro per 45, 46 o 47 anni? Ricordiamo anche che, purtroppo, dal momento della pensione l’aspettativa di vita di un operaio è più bassa di quella di un docente universitario o di un lavoratore intellettuale. Accanirsi sugli operai che hanno 41 anni di anzianità lavorativa credo che non risolva i problemi di pareggio dei conti e che sia socialmente iniquo.
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