by Sergio Segio | 5 Novembre 2011 7:44
GENOVA — «Urlavano tutti. Vedevo le persone gesticolare nelle macchine che galleggiavano mentre un fiume arrivato all’improvviso le portava via». Emanuele ha 37 anni e dice che ieri all’una era finito per caso dalle parti del quartiere Marassi. Si è ritrovato davanti a una Lancia Delta incastrata fra un marciapiede e altre macchine, al volante un uomo anziano nel panico. «Non riusciva a uscire e guardava terrorizzato l’acqua per strada che saliva sempre più. Così l’ho aiutato a venir fuori e me lo sono caricato in spalle». Di corsa, fino a un punto sicuro. E nemmeno il tempo di sentirsi dire grazie perché intanto tutte le strade erano torrenti in piena e c’erano altre persone che chiedevano aiuto, arrampicate sui tetti delle macchine, abbarbicati a qualche cancello o in cima a qualche scala. Emanuele ha dovuto raccogliere tutte le forze che aveva per vincere la corrente e arrivare fino a un’altra auto in panne. «C’era una donna disperata che aveva il terrore che io cadessi mentre la portavo in spalle in un palazzo all’asciutto» dice. In fuga, una seconda volta, verso la salvezza.
Di testimoni-eroi se ne contano a decine, nel pomeriggio nero di Genova. Per esempio suor Antonietta, dell’istituto salesiano di Santa Maria Ausiliatrice, a un passo dalla via Fereggiano. Quando l’onda è arrivata ai suoi piedi c’erano a tavola centinaia di bambini nel refettorio, piano terra. «Bimbi fate presto, veloci, via. Via tutti da qui, correte al piano più alto» ha ordinato suor Antonietta cercando di non far trasparire nemmeno un briciolo di paura. Così ai piccoli è sembrato quasi un gioco: tutti di sopra, in salvo. Negli stessi minuti, in un liceo lì vicino, una professoressa ha portato all’ultimo piano i suoi studenti e per distrarli dalle finestre che si affacciavano sullo spettacolo della devastazione, li ha fatti cantare per otto ore: ha chiamato la collega che dà lezioni di musica e il suono di una chitarra ha accompagnato il pomeriggio di tutti quanti, finché l’acqua non è scesa e si è potuto uscire.
Le urla, l’espressione terrorizzata e le braccia ad agitarsi nella disperata richiesta di aiuto, è quello che racconta chiunque si sia affacciato da un balcone di via Fereggiano mentre la piena portava via ogni cosa. Silvana Amatucci, dal suo terzo piano, ha visto «l’acqua che trascinava via persone, macchine, autobus, moto. Era il finimondo» dice. «C’erano persone sui tetti delle auto, urlavano. Ho visto una ragazza trascinata via assieme alla sua moto…».
Un centinaio di persone sono rimaste in trappola in una galleria di Pino Soprano, un quartiere della Val Bisagno. Chiamavano al telefono gli amici e i familiari, «faremo la fine del topo, aiuto». Dopo ore di angoscia, tutti salvi. Come gli operai di un capannone di Molassana, altra zona della valle. In trenta sono rimasti in trappola nell’azienda, assediata da un muro d’acqua da ogni lato. Sono riusciti a uscire che ormai fuori era buio.
Giovanna Fontana è una signora sulla sessantina. «Ho visto un groviglio di uomini e cose scivolare verso casa mia. Il muro di cinta è crollato, le macchine galleggiavano come tappi e fra le altre c’era anche la mia. Io ricordo l’alluvione del 1970. Mi portò via la macchina anche allora. Fu tremendo, ma ora è stato peggio, più impressionante…».
«Fa impressione», dice come lei anche Paolo Villaggio, una vita spesa fra Genova e Roma. «Impressione e rabbia — precisa, perché — tutto si ripete sempre allo stesso modo».
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