by Sergio Segio | 14 Novembre 2011 18:08
Basterebbe una frase per bloccare la crisi dell’euro, affermano molti economisti. Una piccola frase da parte della Banca centrale europea. La Bce dovrebbe infatti dire in modo chiaro e semplice che svolgerà il ruolo di prestatore di ultima istanza per i membri più indebitati dell’unione monetaria. E l’euro andrebbe subito meglio.
I mercati sarebbero tenuti a bada, e finalmente potremmo infischiarcene di quello che dicono le agenzie di rating. Inoltre si potrebbe ridurre in parte l’austerity e rendere meno drastiche le misure. Tutto ciò favorirebbe un inizio di ripresa dell’economia, che faciliterebbe l’assorbimento del debito. E senza promettere cose impossibili si potrebbe uscire da questo ciclo sinistro che vede il progressivo disfacimento della zona euro, come in una partita di bowling in cui la grande boccia nera spazza via uno dopo l’altro tutti i birilli: prima Atene, poi Dublino, Lisbona, Madrid, Roma, in attesa di arrivare a Parigi.
L’istituto emette moneta – si tratta di una delle sue funzioni – e di conseguenza ha risorse illimitate. Se la Bce affermasse di essere il prestatore di ultima istanza dissuaderebbe la speculazione. I mercati sarebbero più sereni e non chiederebbero tassi troppo alti per comprare i titoli degli stati più indebitati.
In questo modo i paesi riuscirebbero a sfuggire all’aumento dei costi del debito. Questo permetterebbe di uscire da un’infernale spirale di cui si conoscono perfettamente le varie fasi: lo stato vergognosamente indebitato è prima di tutto condannato a non poter più finanziarsi sul mercato emettendo buoni del tesoro a causa dei tassi di interesse proibitivi; di conseguenza sarà obbligato a elemosinare l’aiuto dei creditori esterni. Ma questi lo accordano solo in cambio di condizioni di rigore durissime che metteranno ancora più in difficoltà il malato.
Nell’ipotesi in cui la Banca centrale affermasse in anticipo la sua intenzione di sottoscrivere i crediti di uno stato che ha difficoltà a pagare i propri debiti, lo schema sarebbe completamente diverso. E gli acquisti dell’istituto di emissione ridurrebbero i tassi a livelli accettabili, se la sola dichiarazione di intenzione della banca centrale non dovesse bastare.
È quello che succede al di fuori della zona euro, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone. In modo diverso questi tre paesi presentano dei rating non molto migliori della media dell’unione monetaria europea, ma è chiaro a tutti che la Riserva federale, la Banca d’Inghilterra o quella del Giappone non esiterebbero a intervenire.
Perché allora la Bce non fa lo stesso? Perché è legata a una dottrina che raccomanda la separazione dei poteri. La banca si occupa della parte monetaria, il governo del bilancio; la banca deve garantire la stabilità della moneta (cioè l’assenza di inflazione), il governo deve gestire il debito. In altre parole non spetta all’istituto prestare aiuto al tesoro. Ognuno ha il suo mandato. “È un questione di ideologia”, afferma l’economista Jean-Paul Fitoussi. “Vietando la possibilità di avere un prestatore di ultima istanza, ci si espone in caso di difficoltà finanziarie alla scelta fra il fallimento o un aiuto condizionato a tali misure di rigore che non impedirà comunque il fallimento”.
La sua incomprensione è condivisa da molti colleghi americani che, dal premio Nobel Paul Krugman a Jeffrey Sachs e Kenneth Rogoff, dicono tutti la stessa cosa: “Se la Bce si facesse carico di una parte dei debiti europei la crisi si alleggerirebbe in modo considerevole” (Krugman, New York Times del 23 ottobre[1]).
I rischi? L’inflazione, ovviamente. I sostenitori della separazione dei poteri affermano che l’acquisto diretto del debito di uno stato dalla sua banca centrale equivale a stampare nuove banconote. Ed è questo timore dell’inflazione, quello di una moneta che entra nella spirale della svalutazione continua, il ricordo di questa tragedia che negli anni venti ha portato all’ascesa di Hitler, che ossessiona la memoria collettiva della Germania; ecco perché Berlino ha accettato di abbandonare il suo solido marco per l’euro solo a condizione che la Bce avesse l’unica funzione di combattere l’inflazione.
I sostenitori della dottrina avanzano anche altre ragioni. Bisogna preservare la credibilità dell’istituto e quindi non appesantire il suo bilancio con crediti difficilmente esigibili – ma la Bce sta già comprando sul mercato secondario quantità importanti del debito sovrano degli stati più deboli della zona euro. Un altro argomento dei difensori della “separazione dei poteri” è non incoraggiare il lassismo di bilancio affermando in anticipo che si garantiranno i debiti degli irresponsabili.
A questo argomenti Fitoussi e Krugman rispondono che la creazione di moneta non crea inflazione in economie depresse come le nostre. E per impedire che un ammorbidimento della dottrina monetaria della Bce non diventi un’istigazione al vizio del debito, bisognerà associare questa disponibilità monetaria a una severa disciplina di bilancio. Do ut des, rilassamento dottrinale in cambio di rigore.
Krugman conclude così: “Sulle rovine della guerra gli europei hanno creato delle società che, senza essere perfette […], sono probabilmente le migliori della storia dell’umanità . Ma tutto ciò adesso è minacciato perché la classe dirigente europea […] vincola il continente a una sistema monetario che ha ricreato delle rigidità […] che possono trasformarsi in una trappola mortale”. (traduzione di Andrea De Ritis)
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