by Sergio Segio | 21 Novembre 2011 7:32
Gli scontri dello scorso fine settimana tra i manifestanti e le forze di polizia — affiancate ieri anche dai soldati — sono stati i più violenti dai giorni della rivoluzione che ha rovesciato Mubarak. I 12 morti di ieri si aggiungono ai due manifestanti uccisi il giorno prima — uno dei quali ad Alessandria d’Egitto. Il totale dei feriti (con i circa 200 di ieri) ha ampiamente superato il migliaio. Tra di essi, secondo il ministero dell’Interno, ci sono 85 agenti.
Le forze di sicurezza sono intervenute per disperdere i dimostranti che occupano la piazza da sabato. Se il 25 gennaio giurarono di restare finché Mubarak non fosse andato via, oggi il grido è lo stesso: «irhal», vattene. Ma il bersaglio sono i generali, che hanno sostituito il presidente alla guida dell’Egitto. Molti manifestanti, come nove mesi fa, dicono di essere pronti a morire per la rivoluzione.
La mattina di domenica è iniziata con lanci di lacrimogeni da una parte e di pietre dall’altra. I ragazzi con le mascherine sul volto hanno costruito barricate e lanciato molotov per difendere il sit-in dagli attacchi della polizia anti-sommossa che secondo i testimoni sparava proiettili di gomma e pallini da caccia. Nel pomeriggio gli agenti della polizia militare hanno distrutto e bruciato una decina di tende che erano state allestite al centro di piazza Tahrir, dove si erano radunate circa 5.000 persone. Presi dal panico, i manifestanti si sono dispersi nelle strade circostanti, e diversi sono stati arrestati. Un ragazzo preso a manganellate ha raccontato alla tv egiziana Al Ahram: «Non distinguevano tra uomini e donne. E ci dicevano: “Ve lo meritate, figli di un cane”». Ma nonostante gli scontri, i dimostranti sono ritornati in piazza. Tra loro, secondo i giornalisti presenti, c’erano anche ragazze sia in abiti occidentali sia velate, e gente di mezza età .
Le autorità hanno ringraziato le forze dell’ordine per «l’autocontrollo nel gestire gli eventi». Ma il ministro della Cultura, Emad Abu Ghazi, ha rassegnato le dimissioni protestando per la repressione. Tra i candidati che hanno sospeso la campagna elettorale, ci sono Mahmoud Salem (blogger che scrive sotto lo pseudonimo Sandmonkey) e la giornalista Gameela Ismail. Dicono che il voto non ha senso se i generali mantengono il potere fino alla scrittura della nuova Costituzione. Ad Alessandria alcuni giovani hanno strappato i manifesti elettorali. Il candidato alla presidenza Mohammed ElBaradei ha condannato «l’uso eccessivo della forza, simile ad un massacro, contro civili innocenti che esercitavano il loro inalienabile diritto a manifestare» e ha detto di «simpatizzare con le richieste crescenti che giungono da diverse parti, inclusa piazza Tahrir, per un governo di salvezza nazionale che rappresenti tutte le facce della società egiziana». Ma la Fratellanza Musulmana, pur condannando la repressione delle proteste e chiedendo che l’esercito fissi una data per cedere il potere, ha avvertito che rimandare il voto sarebbe l’equivalente di «un colpo di Stato»: sono i favoriti, e le loro proteste di piazza scuoterebbero il Paese. Il generale Mohsen el-Fangari, membro della Giunta militare, ha detto in tv che i manifestanti sono una minaccia allo Stato. «Qual è lo scopo di stare in piazza Tahrir? Perché questi scioperi, perché i cortei? Non ci sono canali legali che non danneggino l’Egitto a livello internazionale? Lo scopo di queste manifestazioni è di scuotere le fondamenta dello Stato, che sono le forze armate». Le manifestazioni si sono estese ieri a molte città del Paese.
Al Cairo la guerriglia è stata violenta in via Mohammed Mahmoud, dove un «muro» di agenti tentava di impedire ai manifestanti di avvicinarsi al ministero dell’Interno. Un ufficiale dell’esercito e alcuni agenti di polizia sarebbero stati preso in ostaggio dalla folla: il primo sarebbe stato poi rilasciato, nessuna notizia sugli altri. Alla fine le truppe sono state costrette a ritirarsi dalla piazza come sabato notte.
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