Le proposte in campo per intervenire sulla previdenza
ROMA – Sarà uno dei capisaldi della manovra «salva-Italia», uno dei temi che il presidente incaricato Mario Monti metterà ai primi posti dell’agenda economica chiamata a dare una risposta rapida alle richieste dell’Europa e dei mercati. La nuova riforma delle pensioni è in arrivo, e anche se il tema resta uno dei più spinosi da affrontare, il governo entrante troverà sul tavolo diverse ipotesi d’intervento dalle quali partire. Essenzialmente tre. Tre diversi modi d’intendere la «stretta», tre elaborazioni messe a punto nei mesi scorsi senza arrivare fino ad oggi ad alcun risultato concreto per via dei tanti ostacoli sollevati dentro e fuori l’ex-maggioranza.
La prima strada – quella che in queste ore sembra essere la meno difficile da percorrere perché prevede una flessibilità d’interventi sui trattamenti d’anzianità – potrebbe convincere anche il Pd, una delle forze che sosterranno il futuro esecutivo. Messa a punto da Tito Boeri e Agar Brugiavini, economisti della Voce.info, introduce un mix di penalizzazioni e di premi a seconda del momento in cui il lavoratore sceglie di lasciare il posto. L’intervallo per farlo andrebbe da un minimo di 62 anni ad un massimo di 67-70 con una deadline interna fissata al sessantacinquesimo anno di età . Chi deciderà di ritirarsi dal lavoro prima di quel termine dovrà fare i conti con un taglio dell’assegno previdenziale, chi accetterà di lavorare dai 66 anni in su potrà invece godere di un mini-bonus.
A tale ipotesi sull’anzianità se ne contrappongono altre due. La prima prevede l’anticipo dal 2013 al 2012 di quota 97 (somma cui si arriva mettendo assieme l’età anagrafica e l’età contributiva minima per accedere alla pensione). L’anno successivo, nel 2013, la quota arriverebbe ai 98, nel 2014 al 99 per approdare al «tetto» 100 – e quindi all’abolizione di fatto dell’anzianità – dal 2015. In pratica da qui ai prossimi quattro anni, il mix minimo per andare in pensione salirebbe di 4 punti (ora siamo a quota 96). La terza via intende invece superare del tutto il sistema delle quote, vincolando ad un requisito anagrafico (i 60 anni di età compiuti) anche i pensionamenti di anzianità di chi ha accumulato 40 anni di contributi. Anche in questo caso si arriverebbe quindi a quota 100, ma il balzo sarebbe immediato e senza scalini intermedi.
Questo per quanto riguarda i trattamenti di anzianità . Restano in campo, poi, quelli che potrebbero essere gli interventi sulla vecchiaia: il nuovo governo, infatti, potrebbe accelerare i tempi previsti per l’adeguamento dell’età delle donne nel settore privato. Al momento è previsto una versione soft tra il 2014 e il 2026. La squadra di Monti potrebbe optare per tempi anticipati e più stretti. Altra proposta allo studio- destinata sia agli uomini che alla donne – è quella di anticipare al 2020 (invece che al 2026) il momento in cui la soglia d’uscita salirà per tutti ai 67 anni. Infine una terza strada potrebbe prevede l’estensione del contributivo pro-rata per tutti, ovvero anche per coloro che, nel 1996 (anno della riforma Dini) avevano più di 18 anni di contributi. Oggi possono andare in pensione seguendo il calcolo retributivo (più vantaggioso perché si basa sugli stipendi ottenuti), potrebbero essere chiamati anche loro a fare i conti con i contributi versati.
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