Le mafie prima industria oggi muovono 150 miliardi
Non ha odore e non riposa mai. È il denaro delle mafie, corre veloce, cambia posto di continuo e quando si materializza è irriconoscibile. Profuma di fresco e di pulito, candeggiato dopo decine di transazioni, ricompare in circolo come linfa buona per nuovi affari. Rintracciarlo nei forzieri dove sta in ammollo prima di finire nella centrifuga degli scambi e degli acquisti, delle cessioni e delle vendite, è la sfida del nuovo millennio. Governi, non tutti, e analisti si ingegnano a trovare soluzioni, ma dall’altra parte un sistema vive di quei soldi e sa di non poterne fare a meno. È il sistema dell’economia parallela, che si muove nell’ombra per difendere quella fetta di fortuna alla quale deve la propria esistenza e sopravvivenza.
Ma il denaro delle mafie non alimenta un circuito chiuso, non genera soltanto nuovi e redditizi traffici criminali. Il riciclaggio non è un accessorio dei reati, non è la parte terminale di un traffico, è il pilastro sul quale sempre di più le organizzazioni criminali edificano le loro opere. I grandi gruppi avviano un’attività solo nella consapevolezza di potere ripulire i proventi. Con i soldi della droga, senza altre mediazioni, si può comprare soltanto altra droga. Gli utili, però, sono alti, i rischi di impresa calcolati e per ogni organizzazione c’è la necessità di immettere quei liquidi nell’economia sana. Così quel denaro entra nel circuito legale. Si annida dietro formidabili scalate, ascese di tycoon rampanti, sta a difesa dei patrimoni di manager in grisaglia, fa sempre più spesso capolino in Borsa.
Rappresenta una holding con migliaia di partecipate e collegate, ha diramazioni in tutto il mondo e schiere di professionisti e consulenti che lavorano per cancellare le tracce della provenienza di quei soldi e per individuare nuove opportunità di investimento. L’economia criminale, lo ha ricordato l’ex magistrato Giuliano Turone, è protesa verso la conquista illegale di spazi di potere economico e inquina il tessuto produttivo e gli assetti istituzionali dei Paesi in cui opera.
In un sistema corrotto non c’è più spazio per la libera concorrenza, saltano le regole, i valori sono falsati, si creano posizioni dominanti, le istituzioni subiscono effetti che non governano. Il denaro delle mafie, semmai, si apposta comodo nei settori più moderni del mercato, dall’energia al riciclo dei rifiuti, e sconvolge anche lì le regole.
Dal riciclaggio spicciolo, dal reinvestimento nel mattone, fino alla creazione di fiduciarie estere, la movimentazione delle fortune dei boss è una parte rilevante dell’economia planetaria.
Secondo il Fondo monetario internazionale il denaro sporco muove tra il 3 e il 5% del Pil del pianeta, pari a una cifra che oscilla tra 600 e 1500 miliardi di dollari solo negli Usa, come dire: l’intera economia italiana. Lo studioso americano Dale Scott, ex diplomatico ed ex insegnante a Berkeley, nel suo American War Machine, citando fonti del Senato Usa, sostiene che il riciclaggio bancario muoverebbe tra 500 miliardi e 1000 miliardi di dollari, con la metà incanalati verso il circuito bancario americano.
La gran parte proverrebbe proprio dal traffico di droga che è appena dopo il petrolio e prima del commercio di armi per volume di traffici. In Italia, ogni giorno, l’industria del riciclaggio produce 410 milioni di euro, 17 milioni l’ora, 285 mila euro al minuto, 4750 euro al secondo. Bankitalia stima che rappresenti da sola il 10% del Pil. Con un fatturato di 150 miliardi di euro, dunque, la holding del riciclaggio è la prima azienda del Paese, davanti a un colosso come Eni, che con i suoi 120 miliardi è in cima alle classifiche della produzione italiana e tra le venti maggiori imprese internazionali. La massa dei capitali sporchi stacca di quasi un terzo il primo polo bancario nazionale, Unicredit, fermo a 92 miliardi, ed è tre volte più grande di un’azienda di credito come Intesa San Paolo.
(stralcio tratto l’introduzione del volume “Soldi sporchi”, di Pietro Grasso con Enrico Bellavia)
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