by Sergio Segio | 25 Novembre 2011 18:56
BARCELLONA POZZO DI GOTTO (Messina) — Le bare infangate delle Onoranze funebri San Paolo sono in fila sul marciapiede. La gente che cerca di tornare a casa le scavalca senza degnarle di uno sguardo. Come le scarpe, i vestiti, i quintali di frutta fradicia gettati sui marciapiedi di via Operai, quelle casse di legno sono un segno di resa, e non di lutto, per fortuna.
«L’alluvione senza morti è una fregatura». La voce arriva dal balcone di fronte. E’ la sede della Croce Rossa, due volontari, con le tute sporche e la faccia stanca stanno fumando una sigaretta. Uno più anziano e massiccio, l’altro giovane ed esile. Parlano a voce alta, è quasi un comizio. «Siamo in Sicilia non lo sapete? A Giampilieri sono morti tutti e se ne sono fregati tutti, figurarsi qui», urla il vecchio, espressione e voce stremata. «Ma no, non dire così», lo rimprovera il collega.
Sembra una città di spettri, Barcellona Pozzo di Gotto. Che non è un paese ma una città di quasi cinquantamila abitanti, la seconda più grande della provincia di Messina dopo il capoluogo. Nelle vie del centro storico le uniche luci sono quelle degli addobbi natalizi e producono un effetto grottesco. I negozianti si aggirano sperduti tra montagne di fango, le strade sono interrotte da pozzanghere gigantesche che nascondono voragini, trappole per i passanti. Non si sente una voce, solo il rumore isolato di qualche ruspa.
Il torrente Longano non è esploso sulle colline ma proprio davanti al municipio, dove si interra per scorrere sotto a un ampio viale che porta il suo nome. Nel cuore della città , quasi uno sberleffo. L’onda si è riversata in basso, nelle strade del commercio. E qualcosa nei soccorsi non ha funzionato, se le uniche voci che si levano sono cariche di rabbia, di frustrazione. Candeloro Nanìa, il sindaco, la prende da lontano, ma alla fine ci arriva. «Qualche problema con la Protezione civile della Regione Sicilia c’è stato. Agire e interagire con loro è stato complicato».
Fino a ieri mancavano anche le pale per scavare, c’erano più volontari che attrezzi, con il paradosso della distribuzione di una sola pala del Comune per ogni gruppo di dieci persone. Vincenzo Giglio, presidente dei commercianti della zona, non fa sfoggio di ottimismo. «Non è successo il dramma ma i danni sono enormi. E nessuno se ne farà carico. Se non lo hanno fatto per Giampilieri, figuriamoci per noi».
Ancora, quella parola. Quel nome di un Comune colpito dall’alluvione del 2009 — insieme a Scaletta Zanclea e Altolia —, 37 morti, che diventa una parte per il tutto, a sottolineare la paura di essere figli di un’Italia minore. «Fare la fine di Giampilieri», diventa quasi un modo di dire. Evocare quella tragedia significa dare voce alla paura dell’abbandono, nel ricordo di una pagina poco edificante, per tutti. Nel 2007 crollò la montagna sopra il paese, quasi una prova generale di quel che sarebbe venuto due anni dopo. Furono individuati i lavori urgenti per la messa in sicurezza. Non c’erano i soldi, però. Arrivarono il 28 settembre, 750 mila euro. Gli amministratori stavano ancora festeggiando quando la sera del primo ottobre venne giù tutto.
Lo scorso 2 settembre, poco prima del secondo anniversario, la Presidenza del Consiglio dei ministri emanò un’ordinanza per stanziare 160 milioni e far partire, finalmente, la ricostruzione di un paese sventrato. Peccato che ci fosse un errore. Quei soldi erano inutilizzabili, perché vincolati al patto di stabilità regionale, e quindi, per ragioni di bilancio, non possono essere erogati prima del 2012. E almeno 400 mila euro dei pochi finanziamenti stanziati finora se ne sono andati in consulenze fiduciarie, incarichi una tantum di tre mesi affidati a tecnici di diverso genere, tra i quali un diplomato in pianoforte al Conservatorio, attività nobile ma forse non di primaria necessità per gente che non sa più dove andare a dormire. Oggi a Giampilieri ci sono ancora 1.500 sfollati, su un totale di 3.000 abitanti.
Anche per questo la gente di Barcellona evoca il nome del Comune sulla costa ionica come fanno i bambini con l’uomo nero. «E qui manco abbiamo i morti», dicono. I numeri non contano niente. La Regione Sicilia deve ancora decidere cosa farsene dei 185 milioni di fondi europei destinati al rimboschimento delle zone agricole abbandonate, dei cento milioni che Bruxelles ha messo a disposizione per il rischio idrogeologico.
Ma i ragazzi che inseguono le telecamere per mostrare la loro rabbia hanno un argomento inoppugnabile. Dopo Giampilieri, la serie A non fece neppure un minuto di silenzio, la Lega calcio autorizzò il raccoglimento solo per le squadre siciliane. «Mi sembra che per i morti di Genova si siano fermati tutti, invece», dice uno di loro. Mentre si pulisce le mani sporche di fango, e intanto aspetta che arrivi il suo turno per usare la pala.
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