Le carte da giocare e il divario politico

by Sergio Segio | 1 Novembre 2011 7:57

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Il placet di Bruxelles non ha fatto loro cambiare idea, perché la Ue non avrebbe comunque potuto rispedirla al mittente: sarebbe stato il disastro immediato. Quando il presidente della Bce, Mario Draghi, dice che l’Italia dovrà  salvarsi da sé, avverte che la stagione del padrinaggio europeo è finita. Nei giorni scorsi, del resto, i Btp decennali sono stati collocati al 6%, mentre la European Banking Authority esigeva dalle banche italiane altri aumenti di capitale per 14,7 miliardi.
La sentenza dell’Eba ha colpito tutte le banche principali, salvando solo Intesa Sanpaolo, per far fronte alla svalutazione del debito sovrano dei Paesi europei periferici. Per l’Italia il pericolo è grande quanto la beffa.
Il pericolo è che, di questo passo, il costo del denaro si avviti in una spirale negativa, dagli effetti tragici per l’economia. Se il tasso dei decennali si conferma al 6% per un numero di nuove emissioni sufficiente a trascinare al rialzo il costo medio del debito pubblico, un’ondata distruttiva si abbatterà  sia sui conti pubblici che su quelli delle imprese. Un Tesoro che debba pagare il 6% in media su un debito pubblico di 1.900 miliardi, pari al 120% del Prodotto interno lordo, avrebbe un problema enorme: dovrebbe realizzare un avanzo primario e/o manovre finanziarie pari al 7,2% del Pil solo per pagare gli interessi e non accumulare altro debito. Un tale mix di avanzo e manovre sarebbe dell’ordine di 120 miliardi. Nel 2011 l’Italia avrà  un avanzo primario dello 0,9%. Ora il costo medio non è ancora al 6%, ma nel 2012 ci attendono rinnovi di titoli di Stato per 270 miliardi e i mercati vivono di aspettative.
Una tale minaccia sui conti pubblici si traduce, ove non venga cancellata in tempi rapidi, in un innalzamento dei costi di raccolta per le banche che poi non potranno non rifarsi sui clienti. Analogo effetto negativo ci sarebbe sulle nuove obbligazioni delle grandi imprese, salvo quelle poche che sono così forti all’estero da potersi finanziare su altri e più convenienti mercati. Alla fine, avremmo un rialzo generalizzato del costo del denaro, che renderebbe arduo finanziare il normale giro d’affari delle imprese e ridurrebbe al lumicino gli investimenti in grado di remunerare capitali tanto onerosi. Con quali conseguenze sull’occupazione è purtroppo facile immaginare.
La triste beffa è che l’Italia avrebbe le sue carte da giocare: energie imprenditoriali ancora vivaci (le esportazioni sono riprese), i conti pubblici non peggiori di altri (l’avanzo primario 2011 è uno dei migliori dell’Occidente), un sistema finanziario sano (le banche non hanno avuto bisogno di salvataggi di Stato). Ma la parola del governo non viene creduta da chi deve sottoscrivere i Btp. E la Banca d’Italia, pur votando contro, non riesce a invertire il corso dell’Autorità  bancaria europea che sta favorendo in modo smaccato le banche tedesche e francesi, nonostante i titoli tossici di cui sono ancora rigonfie e l’uso tuttora assai spinto della leva finanziaria in colossi come Deutsche Bank e Bnp Paribas. Il vero spread, ormai, è quello che separa la politica italiana dal resto del mondo sul piano della credibilità .

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